martedì 20 giugno 2023

Il minimo sindacale

 




Quando iniziai a scrivere qui mi ripromisi che avrei scritto soltanto se avessi avuto qualcosa di intelligente da dire e non per generare traffico a caso, quindi se per quasi due anni non ho scritto è stato perché non avevo nulla da dire.

Cosa mi ha svegliato dal letargo, allora?

Nel periodo dove non ho scritto ho, però, sperimentato tanto e osservato ancor di più. 

Ho avuto la fortuna di partecipare a raduni di improvvisazione, a festival internazionali, di assistere a saggi di allievi miei e di insegnanti che conosco a malapena, insomma: ho fatto il mio e ho guardato tanto.

E in questo mio guardare ho trovato due cose che ritengo abbastanza intelligenti da sottolineare e riportare qui. Ce ne sono anche altre, ma preferisco prendermi il tempo di verificarle.

Partiamo dalla prima, la più facile.

Come stabilisco se un docente di improvvisazione ha raggiunto almeno il minimo sindacale nel suo lavoro?

Rispondere a questa domanda è sempre stato un mio cruccio.

Quello dell'improvvisazione è un regno dove chiunque può insegnare e, ahimè, in troppi lo fanno. Non c'è un Albo Professionale o un Esame Di Stato da superare, quindi chiunque abbia partecipato ad un workshop di un fine settimana può insegnare e autoproclamarsi Insegnante d'Improvvisazione.

Però ci sono anche i docenti capaci, quelli che invece hanno riflettuto a lungo su ciò che insegnano, che sono riconosciuti a ragione come bravi insegnanti, non solo perché hanno un sorriso smagliante e hanno saputo inserirsi in un circuito dove gli insegnanti si chiamano a vicenda a tenere dei workshop nelle rispettive scuole (Marcellus Vega in Pulp Fiction usa al riguardo una colorita espressione che qui è meglio non ripetere).



Maggio-Giugno è il periodo dove tutte le scuole di improvvisazione di ogni ordine e grado mettono in scena i saggi di fine corso e, in più, ci sono un sacco di raduni di improvvisazioni molti di questi saggi vengono filmati e distribuiti sul web. Quindi, come distinguere a colpo d'occhio, se il docente di quelli che sono in scena è capace oppure è un cane?

Io, al netto delle varie opinioni su cosa debba essere l'Improvvisazione, col tempo ho imparato ad osservare attentamente attrici e attori fuori scena. Quello, il "fuori scena", è il momento che accomuna tutti: bravi, cani, belli, brutti, alti, bassi, donne, uomini, nord, sud, Adriatico, Tirreno, Ionio, tutti. Una volta entrati in scena emergeranno le diverse visioni, ma prima di entrare in scena siamo tutti uguali. 

Forse.

Penso che guardare come si sta fuori scena permetta una diagnostica precisa su cosa l'insegnante ha veramente trasmesso al gruppo: si può fingere di essere altro da se stessi per un po', ma nell'arco di uno spettacolo è il "non verbale" a mostrare ciò che noi siamo; ciò che veramente proviamo e a rivelare come l'insegnante abbia formato i propri allievi.


Ci sono "Gli Ansiosi", allievi e allieve che fuori scena hanno il fisico  contratto, sono tesi, tirati nei sorrisi. Sono essenzialmente preoccupati della loro performance, del non fare brutta figura, del non mandare "in vacca" lo spettacolo, del non guastare la scena dei compagni. 

Appartengono alla categoria delle allieve ed allievi affidati ad "insegnanti cani", i quali durante le lezioni sono troppo occupati a seguire la propria tabella di marcia per accorgersi dell'ansia che divora i propri allievi. Però sono gli stessi che insegnano le cose fighe, no? 

Tranquilli: se voi siete così divorati dall'ansia, probabilmente la colpa è vostra e "l'improvvisazione non fa per voi". Ho incontrato giusto una decina di giorni fa un paio di (ex)allieve di alcuni miei colleghi che avevano lasciato l'improvvisazione per questo motivo e nei loro confronti fu usata proprio quella formula. A voi lascio immaginare il disagio lasciato da cotanta supponenza da parte dei loro insegnanti.

All'estremo opposto ci sono "I Fighi", allievi con l'aria di chi la sa lunga, quelli che pensano di averne viste così tante che non li sorprende più nulla. Quelli che entreranno in scena solo se possono fare bella figura in compagnia dei loro amici, altrimenti non si macchiano il curriculum. Sono quelli troppo rilassati, quelli che a lezione non sono mai stati spinti fuori dalla propria zona di comfort, quelli troppo simili al loro insegnante perché questi non si accorga che non sono bravi improvvisatori, ma, in fin dei conti, solo dei gran paraculi. Probabilmente proprio come il loro docente.

Poi c'è l'allievo che ha una postura corretta: non è contratto, ma non è neppure molle, è semplicemente pronto. Segue la scena e si vede che potrebbe entrare da un momento all'altro, ma solo se dovesse essercene davvero la necessità. Insomma: è "Il Focalizzato", quello con l'approccio giusto per improvvisare.

Ma prima di queste categorie ce n'è una molto più macroscopica. Quella che fa capire subito se l'insegnante ha lavorato bene oppure no: sono gli allievi che appartengono alla categoria di "Quelli che Parlano tra Loro".

Spesso, guardando attrici e attori fuori scena, mi capita di vederli parlare tra loro per accordarsi su cosa faranno in scena. Questo mi fa capire subito che il loro insegnante ha mancato la cosa più importante durante l'anno/corso/modulo/laboratorio e cioè quello di creare un ambiente sicuro. 

Accordarsi su cosa fare in scena è uno scarico d'ansia, è vivere ciò che si sta facendo come una performance (e sì, lo è, ma leggete qui per sapere come la penso su Processo E Performance), è non avere lavorato abbastanza attentamente per rimuovere la paura del Giudizio. Detta in maniera semplice: è non avere raggiunto l'obbiettivo minimo per potersi definire Insegnante di Improvvisazione (e no, non si deve dare la colpa all'allievo per questa mancanza poiché è l'insegnante ad essere incaricato di quel compito ed è per questo che viene retribuito).

Quindi a me basta guardare cosa succede tra gli attori e le attrici fuori scena per vedere se i loro insegnanti sono stati capaci oppure no. Poi, per carità, saranno ottimi docenti di Recitazione o di Dizione o di Mimo o quant'altro, ma NON di Improvvisazione: se la raccontano e ce la raccontano. Magari se avessi bisogno di qualcuno che insegni - che so - Drammaturgia o Scherma Teatrale li chiamerei, ma sicuramente non per insegnare Improvvisazione Teatrale, perché hanno dimostrato di non aver proprio compreso le basi dell'improvvisazione oppure di non aver dato la dovuta importanza a ciò che è essenziale per improvvisare.

PS: se mi irrita vedere allieve e allievi parlare tra loro durante un saggio, immaginate quanto possa essere irritante per me vederlo fare da attori e attrici professionisti! In questo caso, ciò che mi viene da pensare è che - anche se magari improvvisano insieme da decenni - non abbiano ancora imparato a fidarsi pienamente l'uno dell'altro. O magari non si fidano di loro stessi. O, ancora, si sono dati aspettative troppo alte. Fatto sta che quando vedo professionisti che si mettono d'accordo tra loro su cosa fare in scena, provo un senso di disagio. Forse perché dietro tutti quei sorrisi, quelle risate, quell'energia, vedo della sofferenza. 

E invece vorrei vedere della gioia.


venerdì 29 ottobre 2021

Di stanze, elefanti, riflessi pavloviani e Democrazia.

 



Tra i miei talenti c'è anche quello di andarmi a infilarmi consapevolmente in situazioni senza speranza solo perché penso sia necessario farlo. Cosa che ho fatto pochi giorni scrivendo un post su Facebook che riprendeva una surreale polemica sorta attorno al Prof. Barbero e che riporto testualmente:

"Chiunque insegni improvvisazione sa che ci sono differenze strutturali tra uomini e donne.

Uno può sbattersene, fingendo che queste differenze non ci siano e aspettare che sia la naturale evoluzione delle cose a espellere le donne dall'improvvisazione, può dire "poverine" creando così l'handicap, oppure lavorare per ridurre il deficit.
A ciascuno la sua scelta, anche quella di negare l'evidenza (o l'italiano)."

Mio fratello, che mi vuole bene, mi ha prontamente scritto.



Ma io, testardo come ogni Capricorno che si rispetti ho proseguito imperterrito, consapevole di avere scritto qualcosa di impopolare, ma non per questo per forza sbagliato.

Facebook non è un luogo dove dibattere: richiede una comunicazione veloce, il contesto quasi sempre collassa e in gioco non c'è quasi mai un concetto, ma l'immagine di sé che si vuol dare. Invece per chiarire certi concetti c'è bisogno di pensieri lunghi.

Quindi benvenute e benvenuti nei pensieri lunghi, se siete suscettibili fate ancora in tempo a smettere di leggere, se vi sentite chiamati in causa poco sotto c'è un immagine per voi, se sarete scandalizzate/i bene.

Quel puntino luminoso è dove siamo voi, io e le nostre opinioni.


Pronti (da ora in poi uso il maschile per il neutro come ha ribadito da poco l'Accademia Della Crusca, nulla di personale. Se non vi sta bene seguite il link e lamentatevi con loro, ok?)

Visto che quello che voglio dire probabilmente sarà un mattone, per renderlo più fruibile l'ho reso sotto forma di dialogo. buona lettura.

PS - mentre scrivevo queste righe, in Parlamento andava in scena la vergogna del DDL Zan.  Non ci sono parole per descrivere questa infamia. Un diritto se non è universale è un privilegio.



DIALOGO SULLE STANZE, GLI ELEFANTI IN ESSE CONTENUTI, RIFLESSI PAVLOVIANI E DEMOCRAZIA

Personaggi

Dottor Divago - Anziano docente di improvvisazione, idealista e sprovveduto

Professor De Fenomeniis - Docente di Improvvisazione ben addentro la materia.

Prudente – Docente di Improvvisazione meno addentro la materia, ma più avvezzo alle trappole della vita

Platone – Filosofo

Galileo – Scienziato

Vladimiro ed Estragone - Passanti



PROFESSOR DE FENOMENIIS – Beh, direi che se volevi farti detestare, caro Dottor Divago, non potevi fare scelta migliore: già, da maschio quale sei, scrivere su Facebook un post sulle differenze di genere è andarsela a cercare, poi riprendere le parole del Prof. Barbero che vedi essere da due giorni in un tritacarne, mi sembra una mossa abbastanza ingenua. E infatti ti è stato chiarito che quelle “differenze strutturali” non ci sono proprio. Com’è che le hanno definite? Ah, ecco: “cazzate”. E a dirlo è stata una donna: punto, set, match.

PRUDENTE – Attento De Fenomeniis, tu ed siamo gli antagonisti dentro un Dialogo: il nostro ruolo è quello di fare la figura dei minchioni. È chiaro che le cose non stanno così, sennò non saremmo qui. Dammi retta: meno parli e prima ce ne andiamo a casa.

Dottor Divago – Caro Professor De Fenomeniis, parto dalla fine. Il fatto che a dire una cosa inesatta sia stata una donna o un uomo è irrilevante. Se una cosa è falsa è falsa. Nascondersi dietro il dito del “è stata una donna a dirlo” non solo non aiuta a fare chiarezza, ma sottende che a una donna bisogna dare sempre ragione come si fa coi matti o che bisogna farlo perché le donne sono delle rompicoglioni e allora meglio chiudere subito certe discussioni. Sicuramente una donna che vive sulla propria pelle le conseguenze di quelle differenze strutturali ha tutto il diritto di dire la sua e di venire ascoltata con attenzione, ma se dice un’inesattezza e non la si corregge, la si mantiene in uno stato di ignoranza che non aiuta nessuno.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Il tuo potrebbe sembrare mansplaining.

Dottor Divago – Vero. Ma sei stato tu a tirare fuori il “e a dirlo è stata una donna”…

PRUDENTE – In realtà siamo dentro un Dialogo fittizio, chiaro che tu che scrivi dietro lo pseudonimo ci fai dire quello che ti pare.

Dottor Divago – Zitto Prudente, non interrompere il Dottore mentre parla.

PRUDENTE - E poi avete notato che in questo dialogo si parla di donne, ma siamo tutti uomini?

DOTTOR DIVAGO - Vero. Però non mi pareva corretto inserire una donna che diceva ciò che un uomo voleva che dicesse. Dobbiamo dare loro spazi dove siano libere di esprimersi, non sostituirci a loro. Tornando a noi: De Fenomeniis, sei stato tu a tirare fuori il “e a dirlo è stata una donna”, non io. Inoltre Professore, tu mi conosci bene: se a dirlo fosse stato un uomo non avrei fatto lo stesso identico spiegone anche a lui? Ci vivo di spiegoni!

PROFESSOR DE FENOMENIIS – In effetti…

Dottor Divago – Bene. Chiarito questo proseguiamo. Dire che ci sono differenze strutturali non significa che ci sono differenze biologiche o culturali, indica proprio strutturali. Se avessi voluto intendere qualcosa di diverso avrei cercato il termine esatto.

Strutturale significa legato alla struttura; al variare della struttura, variano le differenze.

PRUDENTE – Perché c’è un link alla Treccani su “struttura”?

Dottor Divago – Perché così non mi rompono i coglioni equivocando sul termine. Riprendiamo. Per esempio: la grafite e il diamante sono tutti e due costituiti da atomi di carbonio, quello che fa la differenza è la disposizione di questi atomi. Nella grafite questi atomi sono disposti su dei piani con legami deboli tra un piano e l’altro, nel diamante la struttura è più compatta e i legami sono più forti. Ma sempre di carbonio si tratta.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – E sentiamo: tra l’uomo e la donna chi sarebbe il diamante e chi la grafite?

Dottor Divago – Questa è una domanda stupida.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Mi stai dando dello stupido?

Dottor Divago – No. Ho detto che è la domanda ad essere stupida. Esci dal centro dell’Universo. Sai quanta gente mi ha tolto l’amicizia su Facebook dicendomi di averli offesi perché invece avevo solo scritto che il loro ragionamento era idiota?

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Beh…

Dottor DivagoEsci – Dal – Centro – Dell’ – Universo!

PRUDENTE – Scusi Dottore, ma questo cosa c’entra con il diamante e la grafite?

Dottor Divago - Se mi chiamano Dottor Divago ci sarà un motivo, no? Comunque, caro Prudente, io non ho detto che l’uomo è il diamante e la donna è la grafite, io parlavo di mineralogia e basta. Il volere attribuire secondi fini alle affermazioni ci allontana dalla chiarezza di pensiero. Se preferisci posso usare come esempio la calcite e l’aragonite tanto il concetto che a variare è la struttura ma non gli elementi che la costituiscono non cambia.

PRUDENTE – Questo della calcite era solo per farci sapere che ha una laurea in Scienze Geologiche…

DOTTOR DIVAGO – E che all’esame di mineralogia presi 30 e lode.

Se, come alcune persone hanno inteso, avessi scritto che le differenze sono biologiche, allora avrei inteso che tali differenze non sono recuperabili: per quanto mi possa impegnare, in quanto uomo non potrò mai allattare al seno. Inoltre queste differenze le troveremmo identiche in ogni luogo e ogni epoca storica, cosa che invece non accade. Avrei potuto definire queste differenze come culturali, ma culturale è un termine riduttivo; sicuramente tra uomo e donna ci sono differenze culturali, ma ritengo che sia più la cultura dominante imperniata sulla presunta superiorità del maschio a generare discriminazioni di genere che le effettive differenze culturali tra uomini e donne. Non ho elementi per dire se sia la cultura dominante ad avere generato le famigerate differenze strutturali o se ne sia stata generata, non sono un neuroscienziato…

PRUDENTE – Pure umile.

DOTTOR DIVAGO - ...ma rimane il fatto che viviamo immersi in una visione distorta delle figure maschile e femminile e tra Cultura Dominante e Differenze Strutturali c'è un meccanismo di retroazione che rende difficile (e inutile, a mio parere) capire cosa generi cosa.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Retroazione?

DOTTOR DIVAGO – Autopompante.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Ah, capito. Ma allora Dottore, ammesso e non concesso che queste presunte differenze strutturali esistano, nell’improvvisazione dove stanno?

DOTTOR DIVAGO - Vi propongo una verifica semplice: riprendete i vostri appunti e confrontate quante volte le vostre allieve hanno fatto un'entrata a cazzo in una scena rispetto a quante volte l'hanno fatto i vostri allievi.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Scusa?

DOTTOR DIVAGO - Voi, prima di indignarvi perché ho detto che ci sono differenze strutturali tra uomini e donne, avete verificato che tali differenze non ci siano vero?

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Ehm…

PRUDENTE - Ehm...

DOTTOR DIVAGO - Aver creduto per duemila anni che il Sole girasse attorno alla Terra non è stato sufficiente a fare sì che ci girasse davvero. Allo stesso modo desiderare fortissimamente che non ci siano differenze nelle entrate a cazzo in scena tra uomini e donne non è sufficiente a fare sì che quella sia la realtà delle cose. Se non si hanno dati si hanno solo opinioni. E un’opinione non fondata sui dati non è un opinione.

PROFESSOR DE FENOMENIIS - “Un’opinione non fondata sui dati non è un opinione”. Bella questa, me la segno.

DOTTOR DIVAGO – L’ho letta su Topolino.

PRUDENTE – Te l’avevo detto che eravamo qui solo per fare la figura dei minchioni.

DOTTOR DIVAGO - Scusate la digressione, ripeto la domanda: quante volte le vostre allieve hanno fatto un'entrata a cazzo in una scena rispetto a quante volte l'hanno fatto i vostri allievi? Io questo l'ho misurato..

PRUDENTE – L’ha misurato?

DOTTOR DIVAGO – Sì. Ho una vita vuota, e allora? L’ho misurato e per quello che riguarda la mia esperienza, cosa che non ha valore statistico alcuno, le donne fanno molte meno entrate a cazzo di un uomo.

Questo può dire due cose: che le donne sanno leggere una scena e sapere che quell'entrata manderà tutto in vacca meglio di un uomo, oppure che gli uomini hanno una maggiore propensione al rischio delle donne.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – E…?

DOTTOR DIVAGO - Quali sono le cause? Non lo so, non sono un sociologo o uno psicologo, ma è una differenza che ho osservato e che mi sono attivato per ridurre.

Per quella che è la mia personale visione dell'improvvisazione preferisco aumentare le entrate a cazzo delle donne che ridurre quelle degli uomini: solo mandando in vacca le scene e riflettendo sull'accaduto si può acquisire quella sensibilità necessaria a fare le giuste entrate. Se invece fosse che le donne leggono meglio la scena, aumentando le entrate a cazzo tale capacità non andrà persa. Ma poi, parliamone: esistono poi entrate giuste o sbagliate nell’Improvvisazione?

PRUDENTE – Per favore, Dottore!

DOTTOR DIVAGO – Ok, scusate. Riprendiamo.

Nel mentre che aspettiamo la fine dei corsi per confrontare le vostre misurazioni su queste entrate in scena, per vedere se ci siano o no differenze strutturali tra uomini e donne nell'improvvisazione potete fare un'altra cosa: aprite Facebook, guardate le foto degli spettacoli di improvvisazione che stanno venendo fatti e calcolate il rapporto donne/uomini per ogni spettacolo.

Ma non solo. Se guardate le foto degli spettacoli della vostra associazione potete facilmente confrontare quel dato con altri due interessanti rapporti: quello donne/uomini nel parco attori e quello donne/uomini tra gli iscritti dei primi anni di quegli attori che vedete nelle foto.

Mi auguro che quel rapporto sia costante nel tempo e si attesti sul 50/50.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Non ho capito.

DOTTOR DIVAGO - Se ci fossero, che so, squadre composte da tre uomini e una donna (ma cosa vado a pensare!) come risultato finale di un corso triennale al quale all’origine s’ erano iscritti ambedue i generi in ugual misura, sarebbe bello indagare sulle cause. Quel drastico calo di improvvisatrici è stato dovuto a un clima maschilista, al fatto che "non fossero portate per l'improvvisazione" o per differenze strutturali non affrontate?

PROFESSOR DE FENOMENIIS - La risposta più semplice potrebbe essere: "Perché al I° Anno s'iscrive una donna ogni tre uomini"?

DOTTOR DIVAGO - E a quel punto la domanda che sorge spontanea è: "Allora perché la scuola di fianco alla tua è composta all'80% da donne?” Perché vanno tutte lì? Dopotutto l'improvvisazione sempre quella è!

In sostanza già quel dato di tre uomini sul palco per ogni donna dovrebbe farci pensare. Può essere che i corsi d'improvvisazione attirino molti più uomini che donne, può essere che il processo d'insegnamento espella molte più donne dai corsi rispetto agli uomini, può essere che la Direzione Artistica decida che devono esserci più uomini che donne sul palco per motivi a noi oscuri, può essere che la differente distribuzione dei carichi di lavoro nella società costringa le donne a fare meno spettacoli rispetto alla loro controparte maschile. Può essere un milione di altre cause, ma fatto sta che in sacco di foto di spettacoli di improvvisazione si vedono sul palco più uomini che donne.

A questo punto la scelta è: fare finta di niente oppure sollevare la questione per provare a riflettere, pur sapendo che parlare di questioni di genere su Facebook equivale a suonare la campanella davanti ai cani di Pavlov.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Immagino che un sacco di gente sarà contenta di vedersi associata ai cani di Pavlov...

PRUDENTE - Di campanelle in quel post ce n'erano a bizzeffe, ma due sono state quelle che hanno innescato le maggiori salivazioni: "differenze strutturali" e "ridurre il deficit".

DOTTOR DIVAGO - Personalmente trovo ironico che nessuno si sia scandalizzato per la parte "uno può sbattersene, fingendo che queste differenze non ci siano e aspettare che sia la naturale evoluzione delle cose a espellere le donne dall'improvvisazione", mentre il termine "Deficit" abbia suscitato così tanta emozione. Solo qualcuno, estraneo all'improvvisazione, ha fatto notare che, per definizione, un insegnante non aspetta.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Rimarcare quest’ultima cosa non la farà certamente amare di più.

DOTTOR DIVAGO – Mica l’ho detto io che un insegnante, per definizione, non aspetta. Ma non divaghiamo.

PRUDENTE – E se lo dice lui di non divagare…

DOTTOR DIVAGO - Ora, se sul palco vedo una donna ogni tre uomini, un deficit di rappresentatività c'è oppure no? Se nei miei corsi c'è una marcata differenza nelle entrate in scena tra allievi ed allieve, che si traduce in una diversa propensione al rischio, significa che c'è un deficit che devo recuperare. Come, dall'altra parte, devo recuperare il deficit che gli uomini hanno rispetto alle donne nel mettere in scena scene intime (ho misurato pure quello, io misuro tutto).

"Ridurre il deficit" è un'affermazione neutra, che ognuno legge secondo le proprie lenti.

Però il fatto che ci sia - a torto o ragione - un riflesso pavloviano sul termine deficit e nessuno che abbia commentato sul fatto che ci sia la possibilità che l'Improvvisazione sia immersa in un sistema dove le donne che non si adattano alla Cultura Dominante vengono espulse o vengono tenute, benevolmente, in una condizione di inferiorità mi dà da pensare. Deve darci da pensare.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Però mica è così dappertutto!

DOTTOR DIVAGO – Ovviamente: ogni generalizzazione è sbagliata, si sa. Nell'improvvisazione ci sono realtà a trazione femminile, altre dove ambedue i generi sono equamente rappresentati, spettacoli e corsi a maggioranza femminile e così via. Però non è questo il punto.

Il punto è: davvero sono l'unico a pensare che ci siano differenze strutturali e che invece di nascondere la polvere sotto il tappeto - perché sappiamo tutti che parlare di differenze di genere per un uomo equivale a entrare bendato in un campo minato - sarebbe bene affrontare la questione e ridurre il deficit che queste differenze generano, qualunque sia questo deficit?

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Penso che la domanda piuttosto sia “ma perché devo mettermi questo problema?” Io insegno improvvisazione e basta. Le persone vengono a fare improvvisazione perché si divertono e perché le fa stare bene. Perché tutti questi problemi? Le donne, le differenze strutturali, il deficit, la propensione al rischio: noi facciamo improvvisazione e basta. E basta. Le sue sono seghe mentali. Seghe mentali che non interessano a nessuno.

PRUDENTE – “Sega mentale” mi pare un po’ maschilista...

DOTTOR DIVAGO – Vero. Le mie sono seghe mentali. E uso anche un linguaggio difficile. Però non sono solo uno che improvvisa, sono uno che insegna. E insegnando dobbiamo tenere a mente due cose: la prima è che abbiamo a che fare con delle persone, la seconda è che non è possibile pensare che ciò che insegniamo rimanga confinato dentro l’aula come se quella fosse un luogo separato dal resto del Mondo,

PRUDENTE – De Fenomeniis, mi sa che l’hai fatto incazzare.

DOTTOR DIVAGO – In trent’anni di attività ho visto camionate di persone venute a fare improvvisazione piene di entusiasmo, poi lasciarla convinte di essere incapaci di improvvisare. E solo perché i loro insegnanti erano dei cani che sfogavano le loro frustrazioni su di loro. Io gli insegnanti che mi hanno detto “la verità è che le donne non sono fatte per l’improvvisazione” li ho conosciuti. E questi sono ancora lì che insegnano!

PRUDENTE – Sì, l’hai fatto incazzare.

DOTTOR DIVAGO – E sapete qual è l’ironia del tutto? Di affermazioni come “la verità è che le donne non sono fatte per l’improvvisazione”, “non ci sono differenze strutturali”, “recuperare il deficit”? Che l’improvvisazione l’ha inventata una donna! E l’ha inventata proprio per superare quella che lei stessa ha chiamato Sindrome da Approvazione/Disapprovazione! Sta scritto proprio di suo pugno, nero su bianco all’inizio del suo libro Improvisation For The Theatre. Ora dimmi che non ci sono differenti meccanismi di Approvazione/Disapprovazione tra uomini e donne! E leggiti ‘sti libri se vuoi insegnare: te li hanno anche tradotti in italiano.

E se non ti basta Viola Spolin c’è anche Keith Johnstone: te la sei letta l’Introduzione a Impro o l’hai saltata perché cercavi giusto gli esercizi fighi da proporre agli allievi?

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Ehm…

DOTTOR DIVAGO – Uno dei motivi per cui l’Improvvisazione Teatrale è considerata meno di zero è perché c’è gente come te che insegna senza sapere perché esiste quello che insegna!

PRUDENTE – Dottore, sta divagando.

DOTTOR DIVAGO – No, non sto divagando. Sto dicendo che l’Improvvisazione non è nata per andare a fare i pagliacci sul palco, è nata per aiutare le persone. Poi se uno vuole andare sul palco ci vada e faccia quello che crede, ma deve sapere da dove viene quello che sta facendo. Ognuno usi lo strumento come crede, l’Improvvisazione è libertà, ma lo strumento lo si deve conoscere. Ai nostri corsi insegniamo un’infarinatura di Storia Del Teatro e non spendiamo due parole sulla Storia Dell’Improvvisazione: siamo una specie di “1984” del discount!

L'Improvvisazione può essere un volano di Democrazia: chi improvvisa impara a sospendere il giudizio, ad ascoltare l'altro, a riconoscere l'altro, a creare assieme all'altro nella frizione con l'altro; improvvisare è una costante rinegoziazione con l'altro delle priorità e delle necessità.

PROFESSOR DE FENOMENIIS - Mi sembra un po' azzardata come affermazione.

DOTTOR DIVAGO -Rileggetevi l'Articolo 3 della Costituzione e ditemi se non ricalca pari pari quello che dovrebbe essere l'improvvisazione!

Quindi, se per amore del quieto vivere ignoro quello che vedo, come la diversa propensione al rischio tra uomini e donne. oppure il già citato rapporto 1 a 3 di chi va sul palcoscenico, da insegnante sto dando "pari dignità sociale [...] senza distinzione di sesso [...] di condizioni personali e sociali" rimuovendo "gli ostacoli di ordine [...] sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"?

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Mah!

DOTTOR DIVAGO – Può darsi che io stia prendendo un abbaglio, ci sta. Può darsi che l'Improvvisazione sia un'isola felice dove l'Art.3 ha già trovato la sua piena attuazione. Può darsi che io sia un vecchio fanatico e rincoglionito.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Ecco.

DOTTOR DIVAGO – Ma c'è qualcuno che, non dico possa produrre dei numeri per smentire quanto scrivo, ma che riesca a superare il riflesso pavloviano che fa sì che le donne saltino alla gola di chiunque affermi che, se vediamo le differenze come ricchezza e non come motivo per soggiogare l'altro, magari uomini e donne sono diversi senza che questo sia per forza un male? Possiamo pensare a questa differenza - anzi a una qualsiasi differenza: uomini, donne, bianchi, neri, gay, etero  - senza che implichi per forza una gerarchia di valore?

PROFESSOR DE FENOMENIIS - "Gerarchia di valore"? Ma come parli? Mi sembri uno uscito da un film di Nanni Moretti.

PRUDENTE – Però Dottore, se mi permette, il fatto che lei sia un uomo dà a tutto il suo discorso un taglio un po’ ipocrita.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Puoi togliere “un po’ “.

DOTTOR DIVAGO – Sia chiaro, io sono maschio, bianco, etero e vivo pure in un industriosa città del Nord, lo so. Ma so anche che questo vuole dire che ho in mano le carte migliori del mazzo. E che se voglio tenere in mano queste carte non devo fare niente, mi basta ignorare quello che vedo. Tanto, visto che mi piace andare sul palco ho tre volte di più la possibilità di una donna di farlo, no? E gli uomini hanno imparato a starsene fuori da queste discussioni: sanno che ne usciranno comunque con le ossa rotte, mentre fino a che non parlano non devono scoprire le loro carte. Solo i più stupidi entrano in queste discussioni.

PRUDENTE - Dottore, lei ci è entrato. Anzi, la discussione l'ha proprio proposta lei.

DOTTOR DIVAGO – Vero. Però chiunque abbia letto la quarta di copertina del testo più scrauso sul Femminismo, sa che il Femminismo non riguarda la superiorità della Donna sull'Uomo, ma la redistribuzione più equa del Potere. E cosa insegna l'Improvvisazione se non a ripartire il Potere in maniera più equa?

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Si vabbè, ciao.

DOTTOR DIVAGO – Sì, caro Professor De Fenomiis: quando insegniamo a improvvisare, tra le altre cose, insegniamo a cedere all’altro parte del potere che vorremmo arrogarci per potere veramente costruire qualcosa insieme. Mi dispiace se ti hanno insegnato che l’Improvvisazione è IdeaX + IdeaY = ScenaZ. Questo è un monumento all’Ego di chi improvvisa. È prendersi a cornate. Se non insegni a chi improvvisa a cedere il potere all’altro, ad ridurre il proprio bisogno di controllare e decidere anche per l’altro al fine di creare una scena assieme assieme, stai solo insegnando delle tecniche per fingere di stare collaborando mentre invece si cerca di dimostrare chi dei due ce l’ha più lungo. Saper improvvisare è anche saper ridistribuire il potere. 

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Questo con l’Improvvisazione non c’entra nulla. È solo un tuo volo pindarico: a te non piace come si improvvisa perché hai le tue idee, che nessuno segue, e dall’alto della tua spocchia ti senti in diritto di gettare merda su tutto e tutti. Questa è la verità. Fai il difensore delle donne quando loro sono state ad attaccarti. Ogni tanto te ne esci fuori con qualcosa di nuovo per fare l’originale, ad Agosto era l’Antifragilità e ora questo “ridurre il deficit” solo perché fa figo.

DOTTOR DIVAGO - Qui non parliamo di ridurre il deficit perché è giusto o perché fa figo. Parliamo di pura e semplice improvvisazione. Più il mio compagno in scena è libero da costrizioni consapevoli o inconsapevoli e meglio potrà improvvisare con me. Ma perché insegnare l’uso della voce va bene e intervenire sulle differenze di genere no? Non stiamo intervenendo sul permettere a chi improvvisa di poterlo fare con strumenti ancora migliori? Qui non si sta parlando di fare la rivoluzione partendo dall’improvvisazione, ma di mettere le persone nella condizione di improvvisare meglio. Poi è chiaro che, come quando s’impara a parlare in pubblico quella competenza ce la si porta nel quotidiano, allo stesso modo quell’empowerment non resta confinato ai muri della sala prove.

PROFESSOR DE FENOMENIIS – "Empowerment": è tornato Nanni Moretti! Lo sai cosa gliene frega a chi s’iscrive a un corso d’Improvvisazione del tuo "empowerment"? Quelli vengono per divertirsi.

DOTTOR DIVAGO – Certo che vengono per divertirsi, ma una cosa non esclude l’altra. Perché si deve sempre pensare alle cose in termini o/o e non in termini diversi? Chi viene a fare un corso d'improvvisazione viene perché si diverte e sta bene. E quello gli basta.  Ma un conto è il discente e un altro è il docente. Tu, docente, devi sapere cosa smuove ciò che insegni, altrimenti non sei un insegnante, sei un ammaestratore. In un corso di improvvisazione ti arriva pari pari quello che già è presente nella società, sta a te insegnante intervenire e rimuovere i blocchi, i pregiudizi, gli stereotipi e le discriminazioni. Ma che diamine: viviamo in una società maschilista, ti mostro che nelle foto degli spettacoli ci sono tre improvvisatori maschi per ogni improvvisatrice e mi dici che questo non c’entra niente e che non ci sono differenze strutturali tra uomini e donne nell’Improvvisazione? Tre uomini per ogni donna: che messaggio stai facendo passare? O che quella singola donna in scena, se ha voluto improvvisare, si è dovuta adattare a farlo secondo degli standard fissati da uomini o che è lì a fare la Riserva Indiana!

PROFESSOR DE FENOMENIIS – Che vuol dire “ si è dovuta adattare a farlo secondo degli standard fissati da uomini ”? L’Improvvisazione una è, mica ci sono differenze tra uomini e donne. Le differenze sono culturali. 

DOTTOR DIVAGO – Non ci provare!

GALILEO – Scusate?

PRUDENTE – Oddio! E chi sono questi due?

GALILEO – Sono Galileo Galilei.

PLATONE – E io sono Platone. Siamo venuti a dire che questa pagliacciata del Dialogo per discutere dell' argomento potete anche farla finire qui.

DOTTOR DIVAGO – Come pagliacciata? Ma come vi permettete?

PLATONE - Se permette io di dialoghi me ne intendo: Il Simposio, La Repubblica, l’Apologia Di Socrate, Il Fedro, Il Politico, devo continuare?

GALILEO – E a me l’Inquisizione ha fatto un mazzo così per il Dialogo Sopra I Due Massimi Sistemi Del Mondo. Mi ha fatto abiurare, mi ha fatto. E tu Divago fai il martire per un paio di critiche? Non dureresti cinque minuti davanti al Sant’Uffizio.

PLATONE – Quindi la chiudiamo qui va bene? Divago: a casa!

PROFESSOR DE FENOMENIIS - Finalmente se ne è andato via. Lui e le sue idee bislacche. "Le differenze strutturali tra uomini e donne": uno dovrebbe capire quando è ora di andare in pensione.

PRUDENTE – Alla fine tante chiacchiere e nessuno ha cavato un ragno dal buco. Lui non ti ha convinto e tu non hai scalfito le sue convinzioni. Che dici, ci sta un birrino prima di scomparire?

VLADIMIRO – Scusate signori, io e il mio amico Estragone stavamo aspettando il Signor Godot, mica l’avete visto, per caso?


mercoledì 18 agosto 2021

Meglio Un Giorno Da Antifragile Che Cento Da Resiliente

 



Tre ragazze sono in scena. Stanno improvvisando delle scene partendo da frammenti di copione che sono stati dati loro a inizio spettacolo. Hanno costumi di scena che caratterizzano i personaggi e i tagli delle luci rendono la scena "teatrale". Armeggiano con una valigia, vera, il cui contenuto dovrebbe dare una svolta alla scena. Ma la valigia si inceppa. La Realtà è entrata prepotente in scena e sta dettando le sue regole.
Le tre non si scompongono, armeggiano un poco e dopo pochi secondi la valigia si apre e la scena può proseguire.

Altro spettacolo, questa volta è un musical. All'inizio dello spettacolo gli attori hanno chiesto dove si svolgerà l'azione ed è stata scelta una discoteca. Trattandosi di un musical luci, musiche e balli spadroneggiano. Il momento è drammatico: il vecchio barman, anima della discoteca, ha deciso di andarsene perché la Direzione non ha rispetto per le sue richieste di avere qualche giorno di riposo e il resto del personale sta decidendo cosa fare. Dalle quinte entra in scena uno spacciatore. Il pubblico ride - che discoteca è senza uno spacciatore, no? - nessuno se lo fuma e quindi lo spacciatore esce. Lo rivedremo solo nel balletto finale.

Altro spettacolo, un uomo tiene due ragazze in ostaggio. Le luci di taglio ci fanno capire che in questa scena non dobbiamo aspettarci l'intervento delle Teste Di Cuoio per liberare gli ostaggi, ma un sacco di dialoghi e di introspezione.
La scena prosegue con dei tempi che pare un film commissionato dalla CIA a Theo Angelopoulos per fare parlare i detenuti di Guantanamo senza finire sotto inchiesta di Amnesty International. Tra la domanda di uno e la risposta dell'altro nei fondali marini si deposita un millimetro di quello che diventerà un calcare a foraminiferi. Mentre i miei testicoli stanno contattando il loro avvocato per inviarmi una diffida, l'attore che sta tenendo in ostaggio le due ragazze (e tutti noi) si getta a terra. Il palcoscenico fa da cassa di risonanza e ne esce un tonfo fortissimo che fa sussultare tutti, attrici e tecnico luci compresi. Subito segue un applauso che altro non è che una reazione istintiva e liberatoria allo spavento: tutti ci eravamo assopiti. Per un attimo spero che grazie a quella reazione inaspettata i tempi teatrali passino almeno da Lo Sguardo Di Ulisse di Angelopoulos al Solaris di Tarkovskij, ma ogni speranza è vana: nessuno in scena sfrutta quella improvvisa e inaspettata reazione per dare una svolta alla scena e la noia riprende fino a un termine che non arriverà mai abbastanza presto.


L'Antifragilità è un concetto coniato da Nassim Nicholas Taleb e definisce un sistema che quando riceve un urto diventa più resistente. Questo concetto si affianca a quello di Resilienza, che definisce la capacità di un sistema di modificare il proprio funzionamento dopo aver subito un danno e di continuare ad operare.

Quello di Resilienza è un concetto che ha cominciato a diventare di moda all'inizio del nuovo millennio e ora è addirittura entrato nel titolo che il Governo ha dato ai suoi interventi, facendoci capire che ormai non può essere abusato ulteriormente.

Un esempio di Resilienza può essere l'inserimento di una ridondanza nei sistemi di sicurezza di una centrale nucleare: se uno dovesse guastarsi ce n'è un altro pronto ad operare al suo posto. Il sistema si riconfigura per continuare ad operare. Un esempio meno prosaico può essere la chiusura di un ufficio o dipartimento di un ente o azienda e la ridistribuzione dei compiti tra gli uffici rimasti: il sistema si è riconfigurato per continuare a funzionare. 

L'Antifragilità è più recente, visto che Taleb lo introduce solo nel 2012. Per capire cosa sia questa Antifragilità basta pensare al Titanic: quel disastro ha salvato più vite umane di quante ne abbia mietute, perché grazie a quel disastro si sono introdotte nella navigazione norme di sicurezza e procedure standard di soccorso prima ignote; un esempio su tutti? Avere più posti sulle scialuppe di salvataggio di quante persone ci siano a bordo; può sembrare banale, ma fino ad allora non era previsto che ci dovessero essere posti per tutti.
Altro esempio di sistema antifragile è il trasporto aereo: ogni disastro viene studiato nei minimi dettagli e i risultati condivisi, così che si possa impedire al disastro di ripetersi una seconda volta. Questo approccio ha fatto sì che partendo da delle carrette volanti in meno di un secolo l'aereo sia il mezzo di trasporto più sicuro.

La Resilienza ha trovato nell'improvvisazione teatrale un habitat favorevole dove diffondersi e prosperare, al punto che l'improvvisazione viene spesso portata come esempio di Resilienza. Chi fa improvvisazione è infatti formato a mandare avanti le scene nonostante imprevisti, errori, fraintendimenti grazie alla formazione ricevuta che gli permette di gestire quell'incertezza.
Peccato che se si gratta la superfice questa Resilienza, per chi fa improvvisazione, sia come il vaiolo per gli Indiani d'America: quelli che non vengono sterminati finiscono soggiogati.

I tre esempi che ho portato in apertura sono esempi di Resilienza nell'improvvisazione: le scene sono andate avanti nonostante oggetti di scena che non funzionavano a dovere, entrate a sorpresa, rumori forti inaspettati, ma non ne sono uscite rinforzate. Quegli imprevisti non sono stati usati per rendere la scena migliore (qualunque significato si dia al termine "migliore").

Ho descritto solo tre casi, ma ne potrei portare a decine e chiunque, fermandosi un attimo a riflettere, può aggiungerne altri.

Era Improvvisazione questa, oppure quando parliamo di Improvvisazione intendiamo cose diverse?
Quelle attrici e quegli attori erano veramente presenti su quel palco o stavano mettendo in scena qualcosa di già scritto da qualche parte nelle loro teste?

Quello che penso è che i corsi di improvvisazione prendano persone che sono nel sistema Fragile, le portino nell'Antifragilità per poi prendersi paura e spostarle nel Resiliente.

Le persone che vengono alla prima lezione sono terrorizzate, lo sappiamo. Terrorizzate e affascinate. L'Improvvisazione le affascina quanto basta per superare la paura che impedisce loro di attraversare la soglia dell'aula, ma poi il terrore resta e siamo noi docenti a guidarli in quel volo planato che è l'improvvisazione. Insegniamo loro a lanciarsi senza rete, poi li portiamo a fare surf con la tavola della loro creatività sull'onda del loro terrore, mostrando loro che l'onda può travolgerli, ma non sconfiggerli. Che col solo accettare e rilanciare, valorizzando così le proposte dei nostri compagni, si possono creare mondi. E mettete a tacere il vostro giudice interiore, cribbio!

Poi all'improvviso la musica cambia e quell'insegnante che sembrava Robin Williams ne L'Attimo Fuggente diventa la Signorina Rottenmeier di Heidi e assieme alle caprette anche un po' di compagni di corso ti fanno ciao.

Noi facciamo Teatro, mica cazzi, e allora per fare Teatro devi imparare a costruire una storia, devi imparare la Drammaturgia (e poco conta se di Drammaturgia il tuo insegnante non ci ha capito nulla, lui è L'INSEGNANTE e tu sei nata paperina che cosa ci vuoi far?).
Devi imparare che ci sono Shakespeare, Pirandello, Beckett, Molière più un sacco di loro amici. E che c'è pure gente che si è studiata stronzate come i famigerati Games per sapere in ogni istante cosa fare per tirarne fuori il meglio. C'è chi ti dice che non devi ridere in scena, che non puoi entrare a cazzo per vedere cosa succede, che il pubblico vuole vedere una storia e che c'è quella boiata che è il Viaggio Dell'Eroe.
Che devi fare bene.

E mi raccomando: divertiamoci. 

La libertà, il sense of wonder delle prime lezioni di lezioni, quella propensione a rischiare se ne sono andate e al loro posto sono arrivate la Tecnica e le strategie per fare delle belle scene.

Che le scene degli inizi fossero sporche, ma vere, non interessa a nessuno, improvvisare adesso è diventato un esercizio di calligrafia: non è importante ciò che scrivi, ma che tu lo scriva bene.

Citando, volutamente a sproposito, il Chaplin de Il Grande Dittatore: "abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l'abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchine ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza".  
 


Dice Keith Johnstone che il palcoscenico è un luogo che mette paura e per affrontarlo possiamo o ispessire la corazza o rimuovere la paura.

Ispessire la corazza è lavorare sulla Resilienza, rimuovere la Paura è lavorare sull'Antifragilità.

Negli esempi che ho portato in apertura non si può fare una colpa alle attrici e agli attori per non avere colto ciò che accadeva e non averlo sfruttato per aprire le improvvisazioni a scenari inattesi. Se anni di formazione e dottrina dell'improvvisazione t'insegnano che improvvisare è scrivere la storia che da A ti porterà a B, l'imprevisto è un dosso rallentatore lungo la strada che da A ti porta a B. E se quando prendi il dosso finisci fuori strada e spacchi il semiasse la colpa è sempre la tua che stavi al volante, mai di chi non ti ha insegnato che puoi proseguire a piedi ed esplorare i dintorni per scoprire cose nuove. 

- Ma allora, Paolo, stai dicendo che posso entrare a cazzo in scena e fare quello che mi pare?

No, sto dicendo che se non ti viene permesso di entrare in scena a cazzo tu non imparerai mai a non farlo e i tuoi compagni non impareranno mai a sfruttare le tue entrate a cazzo per aprire porte inaspettate verso mondi a sorpresa. Ogni volta o verrai ignorato o le scene deraglieranno, perché la vostra preparazione non è orientata a darvi quegli strumenti che vi mettono in condizione di scoprire ogni volta quanto veramente sia profonda la tana del Bianconiglio, ma a farvi fare scene belle esteticamente, con personaggi belli e che raccontano storie belle delle quali - però - non frega niente a nessuno.
Il primo anno si facevano un sacco di begli esercizi sul pensiero divergente, peccato poi che dopo la pausa estiva l'allievo scopre che improvvisare è conformarsi.

L'"entrata a cazzo" di un attore pone chi è in scena davanti a una scelta.
  • Può essere Fragile, balbettare qualcosa mentre la scena naufraga per poi andare in un angolo a piangere e arrabbiarsi con il compagno brutto e cattivo che ha rovinato la scena che era tanto bella.
  • Può essere Resiliente e fare proseguire la scena facendo finta che quell'entrata non ci sia mai stata o normalizzarla all'interno della storia che si stava già raccontando (maledicendo silenziosamente il nostro compagno per la sua entrata).
  • Oppure può essere Antifragile e fare ciò che l'Improvvisazione promette di fare e mantiene poco: valorizzare il compagno, fare quel Sì E... di cui ci riempiamo la bocca, usare la nostra Creatività e vedere cosa accadrà. Probabilmente ci schianteremo, ma lo faremo col sorriso sulle labbra e rideremo con quello che è entrato a portarci quel momento di piacevole delirio. E visto che non siamo stati a rimuginare e rosicare, avremo avuto anche l'opportunità di imparare qualcosa da quella scena.

La tragedia dell'Improvvisazione Teatrale è proprio questa: se è vero che anche il tizio che suona al campanello per vendervi Lotta Comunista è in grado di dirvi perché una scena è andata male, sono pochi quelli che sono in grado di dirvi perché una scena sia andata bene.
Questo perché per farlo bisogna liberarsi di tutte le sovrastrutture che nascondono l'Improvvisazione, altrimenti si guarda a quelle e non al nocciolo di ciò che è accaduto in scena.

Focalizzandosi invece su ciò che va male si vanno solo a coprire i punti deboli della corazza, perdendo di vista chi sta dentro quell'armatura.

l'Improvvisazione "Resiliente" se ne sbatte di chi sta dentro la corazza: quella è standard e si sa che funziona, se con te ci sono dei problemi, la colpa è tua perché "con tutti gli altri funziona". E poco importa se dentro quella fila di armature lucenti ci sta una sfilza di persone terrorizzate: quelli che cadono evidentemente non erano tagliati per l'Improvvisazione.

L'Improvvisazione "Antifragile" invece, parte da chi deve andare sul palco, sforzandosi di metterlo in condizione di farsi apprezzare per la sua unicità invece che per quanto riesce a conformarsi. Ciascun improvvisatore deve mettere da parte il proprio ego e la propria voglia di fare bene a favore del valorizzare i compagni, dello stare nel momento e dell'essere in grado di fare prendere alla scena svolte inaspettate, solo perché si sa che non può essere ignorato quello che sta accadendo in quel momento.
Fare questo è faticoso, a volte doloroso. Si tratta di fallire, imparare la lezione e ritentare, sapendo che ogni scena presenterà un problema che non si è preparati ad affrontare. Si tratta di mettere gli improvvisatori in condizione di andare in scena senza musiche e con un piazzato bianco perché apprendano concetti profondi che li renderanno inarrestabili una volta che accederanno a spettacoli con luci e musiche. Si tratta di vedere l'improvvisazione come un Processo e non come una Performance (ehi, guarda chi si rivede!); un Processo è qualcosa che si migliora ogni volta, una Performance la si cristallizza una volta ottenuto il risultato voluto.

L'Antifragilità ci permette di vedere dei momenti di Verità, magari con la barba non fatta e le mani sporche di grasso, direttamente dalla corteccia prefontale degli improvvisatori al loro  pubblico.
La Resilienza invece ci fa vedere l'eleganza vuota, la messa in scena di un già visto. La spettacolarità di un concerto dei Pink Floyd senza però i Pink Floyd a suonare.

Sia chiaro: nessuno è obbligato a sposare l'Antifragilità. Ma onestà vuole che quando la Resilienza dei propri allievi non basta si dica loro: "Scusatemi, non siete voi che non siete capaci, ma sono io che vi ho mandato in scena con un'armatura di cartone dicendovi che era una chobham."

Pink Floyd a Venezia.
Io c'ero.


P.S. - leggendo il testo si può avere l'impressione che io detesti i tagli di luce. è vero, li detesto. Solo gli improvvisatori più antifragili dovrebbero poter avere accesso a queste luci. I tagli sono come la panna in cucina: sono pochi i piatti che ne hanno veramente bisogno, solitamente la si usa per coprire la scarsa qualità degli ingredienti o che il piatto è venuto una schifezza.

Il minimo sindacale

  Quando iniziai a scrivere qui mi ripromisi che avrei scritto soltanto se avessi avuto qualcosa di intelligente da dire e non per generare ...