lunedì 29 giugno 2020

Le Euristiche dell'Improvvisazione - Fai fare bella figura al tuo compagno



Per aiutarci a entrare ancora più nel dettaglio dell'euristica del Sì E... possiamo scomporla in euristiche di ordine inferiore (se questa frase vi suona criptica è perché non avete letto questo).
Quindi in questo post comincerò ad illustrare le varie sfaccettature del Sì E... 
Riprendiamo perciò dalla definizione di improvvisazione 

Fare con ciò che si ha e non con ciò  che si vorrebbe  

e procediamo.
La prima euristica che incontriamo è:

FAI FARE BELLA FIGURA AL TUO COMPAGNO

Fai fare bella figura al tuo compagno è un'euristica per dare agli improvvisatori una direzione verso la quale volgersi quando sono in scena. Sicuramente ci saranno attori migliori in giro, ma quelli che hanno davanti in quel momento sono coloro con cui devono interagire e, di conseguenza, devono tirare fuori da loro il meglio che possono dare.

La prima conseguenza del Fai fare bella figura al tuo compagno è che bisogna sospendere il giudizio su di lui o lei. 

Non ci deve interessare se chi improvvisa con noi sia bravo, simpatico o capace: dobbiamo fargli fare bella figura, a prescindere dal fatto se anche lui lo stia facendo nei nostri riguardi o meno! Se questi ricambia, bene, se non lo fa, amen: stare a recriminare non aiuta e anzi ci catapulta fuori dal Processo impedendoci di entrare nel Flusso. Se non si è capaci di sospendere il giudizio non si sta applicando il Sì E..., non si sta accettando ciò che sta venendo proposto per costruire; ci si sta invece preoccupando di fare bella figura. Detta in altre parole il Processo è stato scisso dalla Performance e ci si sta preoccupando essenzialmente di quest'ultima.

La seconda conseguenza è che, per fargli fare bella figura, dobbiamo sapere cosa lo fa risplendere. 

Usando le parole di Keith Johnstone:

"Compito dell'improvvisatore è ispirare il suo compagno."

Per farlo risplendere lo si deve ispirare, ma per poter fare questo bisogna conoscerlo, sapere cosa lo ispira. Non sempre noi improvvisatori abbiamo la possibilità di andare in scena con chi conosciamo fin dai tempi dell'asilo; è più probabile fare spettacoli con attori e attrici che abbiamo incontrato poche ore prima o che addirittura vediamo per la prima volta quando salgono in scena con noi. Come si può ispirare e fare risplendere una persona che manco sapevo esistesse cinque secondi fa? Semplice: sospendendo il giudizio e procedendo per tentativi ed errori.

Regola empirica: quando le persone sono ispirate il loro viso s'illumina. Quindi dire "Fai risplendere il tuo compagno" ha un significato più letterale di ciò che appare a una prima lettura.

Invece di essere focalizzati su noi stessi cercando di fare "bene" è meglio focalizzarsi su chi ci sta davanti cercando fare "stare bene" questa persona.

L'argomento "riconoscere che per far fare bella figura al compagno bisogna sapere cosa lo ispira" mi offre l'opportunità di una divagazione sul riscaldamento che gli attori fanno prima di uno spettacolo di improvvisazione.

Prima però un po' di aneddottica.

Situazione 1

Una volta stavo cercando il luogo di uno spettacolo di improvvisazione a cui volevo assistere e che sapevo sarebbe avrebbe avuto luogo in un casolare in mezzo a un parco. Non c'erano indicazioni, il parco era molto grande e nessuno a cui chiedessi pareva sapere niente di uno spettacolo in zona. Cominciavo a disperare quando sentii in lontananza persone che urlavano a squarciagola I-HA, ALL DOWN! come se non ci fosse un domani: riconoscendo l'esercizio seguii le voci, domandandomi però come gli attori potessero connettersi gli uni agli altri, visto che tali urli indicavano chiaramente che erano più focalizzati su loro stessi e preoccupati di scaricare energia gridando, che sui compagni per poter costruire qualcosa assieme a loro, in scena. Purtroppo il cattivo presagio datomi da quelle grida fu confermato e lo spettacolo non fu un granché: attori tra loro disconnessi che si affidavano alle loro capacità di singoli invece di lavorare in gruppo.

Quello degli attori che sprecano il riscaldamento focalizzandosi su loro stessi, scaricando energia, invece di connettersi coi compagni è un problema abbastanza comune con gli improvvisatori più acerbi, poi col crescere dell'esperienza si impara a convertire la tensione dello spettacolo in qualcosa di più costruttivo.

Situazione 2

Spesso invece mi capita di vedere soggetti che, durante il riscaldamento pre-spettacolo, sono più preoccupati di mostrare agli altri improvvisatori quanto sono dei "fenomeni" invece di lavorare per scoprire cosa può ispirare i loro compagni e permettere a questi di fare altrettanto nei loro riguardi. Inutile dire che le scene con costoro solitamente sono 90% Performance e 100% one man show. 

Quando vi tocca di assistere a queste situazioni invece di farvi incantare dall'istrionismo delle Primedonne guardate dove nessuno guarda: il lavoro che fa l'altro attore in scena con loro. Solitamente chi finisce in quella posizione ricade in una delle tre categorie:

Lo Sprovveduto. Solitamente è un improvvisatore senza troppa esperienza e malizia. Tenta di fare del suo meglio, ma il suo destino è quello di venire sballottato dalla Primadonna. Alla fine della scena si sente uno schifo e magari pensa che sia pure colpa sua.

L'Esperto. Con lui si vede il lavoro di qualità, nella forma di una persona che si preoccupa che l'altro faccia bella figura. Fa da Spalla con dovizia, ma senza farsi brutalizzare. Anzi è lui che tesse i fili invisibili che permettono alla Primadonna di splendere. Gli spettatori e gli improvvisatori meno esperti non coglieranno la qualità del suo lavoro. Quelli più scafati lo ammireranno e nel loro intimo valuteranno quanto la Primadonna sia patetico.

Il Rivale. Questo è un altro disperato, Primadonna come il primo, che in scena non accetta l'idea che gli applausi non vadano a lui e perciò pretende il suo "posto al sole". Il Sì E... va quasi da subito a farsi benedire e ciò cui si assiste è una lotta tra galli. Alla fine il pubblico osannerà la scena, gli allievi avranno avuto un pessimo esempio (che cercheranno di imitare, senza tra l'altro riuscirci), gli altri improvvisatori saranno sollevati perché i due probabilmente salteranno la scena successiva e nessuno ci dovrà improvvisare assieme e gli spettatori saranno qualche minuto in più vicini al momento della morte senza avere ricevuto nulla di valevole in cambio. E questa è la cosa peggiore.

Situazione 3

Qualche anno fa il mio gruppo ed io stavamo aspettando di fare uno spettacolo in un locale e nell'attesa eravamo stati fatti accomodare in una sala arredata ispirandosi alla Tavola Rotonda con tanto di tavolo rotondo, spade e armature. Appesi alle pareti stavano ritratti di quelli che sarebbero dovuti essere i cavalieri di Re Artù, ciascuno col proprio nome preceduto da Sir: Sir Lancelot, Sir Percival e così via. Dopo un po' di tra noi nacque spontaneamente il "gioco dei Sir": "Sapete come si chiama il cavaliere con la lingua biforcuta? Sir Pent!", "E quello col mare bello? Sir Olo!" e così via. Quello che seguì fu uno degli spettacoli più belli che ricordi (o di cui ho il ricordo: quando si sta nel Processo alla fine si hanno solo ricordi confusi) e tutti concordiamo su questo. Quel gioco spontaneo, che andò avanti a lungo, ci aveva portato a sintonizzarci tutti sulla stessa lunghezza d'onda creando tra noi la voglia di divertirci e di farlo assieme. In altre parole aveva creato tra noi Complicità. E quella Complicità ce la portammo in scena e fu un elemento determinante per la riuscita di quella serata.

Come si chiama il cavaliere che viene dalla Grecia?
Sir Taki! Ahahah!

Questi tre aneddoti per spiegare cosa bisognerebbe fare durante il riscaldamento pre-spettacolo:

  • Non scaricare l'energia isolandosi. Va benissimo riscaldare corpo e voce, ma il riscaldamento deve servire ad attivare il gruppo, a passare dallo spazio del Quotidiano a quello del Teatro e a connettersi gli uni agli altri. 
  • Non iniziare a demarcare il territorio. Non ne avete bisogno, veramente. 
  • Costruire Complicità con gli altri attori. Se quando, in una qualsiasi attività cerchiamo di far sì che sia l'altro a brillare e questo fa lo stesso con noi allora siamo complici, qualsiasi cosa stiamo facendo. Questa Complicità è un elemento determinante per improvvisare assieme.
Il riscaldamento pre-spettacolo è il momento deputato a predisporre gli attori per fare risaltare i propri compagni, non gettiamolo via.

giovedì 25 giugno 2020

Le euristiche dell'Improvvisazione Teatrale - Sì E...


Appurato qui che Processo e Performance sono due aspetti dell'Improvvisazione Teatrale, dobbiamo cominciare a discutere su come fare funzionare il tutto.

Ogni insegnante cerca di trasmettere una o più regole da seguire per potere improvvisare al meglio e anche internet pullula di regole dell'improvvisazione e delle relative spiegazioni.

A me, però, l'idea delle regole non convince. Trovo il termine Regola troppo restrittivo, troppo imbrigliante: come posso gestire una materia cangiante e volatile come l’improvvisazione attraverso delle Regole? Alla Regola non ci possono essere eccezioni, perché le eccezioni confermerebbero solo che tale Regola è sbagliata. Viste le infinite possibilità che offre l'Improvvisazione Teatrale, bisognerebbe fornire una lista quasi infinita di casistiche e di come la regola si declina per ciascuna di esse. Oppure occorrerebbe scrivere tale regola in maniera così generale da non avere alcuna utilità pratica. Questo è il motivo per cui qui ho scritto che gli insegnanti che usano il verbo Dovere sono da evitare: perché alla lunga danno insegnamenti sbagliati o ingabbiano gli allievi in doppi legami

Al di sopra della Regola sta il Principio. Però un Principio è un’enunciazione troppo generica, che lascia troppo spazio di interpretazione per potere avere una reale utilità pratica quando improvvisiamo.

Al di sotto della Regola sta invece lo Slogan. Ma lo slogan - che è fascista di natura, come cantava Daniele Silvestri - appiattisce ogni ragionamento, svuotandolo di significato; è un andare contro la natura dell'Improvvisazione, che, al contrario, il significato lo crea. Il pericolo per l'Improvvisazione sta nella sostituzione con slogan di concetti complessi. Per esempio "Nell'Improvvisazione non c'è errore" è un concetto che in assenza di una riflessione profonda su cosa siano Errore e Fallimento, su cosa si intenda per Improvvisazione e su come queste cose si leghino tra loro, perde di significato e diventa una frase a effetto spesso ripetuta solo perché piace.

La strada che preferisco è quella dell’Euristica.

Un'Euristica è un procedimento non rigoroso che però rende plausibile un risultato che dovrà poi essere confermato in un secondo tempo: indica quali errori evitare, ma lascia sufficiente libertà per essere contestualizzata e interpretata e porta a soluzioni temporanee e localizzate, senza volontà di essere universali.

Per esempio le euristiche che usano i Marines sono: State in contatto, Continuate a muovervi, Occupate gli spazi alti. Queste non possono essere regole rigide, e neppure una serie di slogan come l’Improvise, Adapt, Overcome reso famoso da Clint Eastwood nel film Gunny; sono chiare indicazioni per il raggiungimento del risultato, che valgono all’interno di ogni situazione, ma che lasciano a chi agisce la libertà di declinarle nella maniera che più si adatta alla realtà di quel momento.

So che al lettore questa dissertazione può suonare inutile, se non eccessiva, ma è attraverso la Parola che definiamo la Realtà: se non abbiamo la parola non abbiamo neppure il concetto.  Se - a causa di un vocabolario limitato - usiamo lo stesso termine per definire cose tra loro diverse creiamo confusione, quindi più arricchiamo il nostro vocabolario e più sfumature di ciò che ci circonda riusciamo a definire e comprendere.

Sergente, non ci ho mica capito tanto di questa cosa delle euristiche, sa?

E dopo la spiegazione del perché uso questo termine ecco qua la prima delle Euristiche dell’Improvvisazione: Sì E...

Sì E...

 

Sì E... è l'euristica attraverso la quale gli improvvisatori accettano qualsiasi offerta venga loro fatta e la usano per costruirci sopra qualcosa.

- "Adoro l'impepata di cozze!"

- "Sì e questa è quella che ho preparato per te, Buon compleanno!"

Facile no?

In sostanza Sì E… è l’attuazione pratica della prima parte della mia definizione di Improvvisazione e che per vostra comodità vi ribadisco: "Fare con ciò che si ha e non con ciò che si vorrebbe".

L'Improvvisazione Teatrale è l'applicazione continua e sistematica di questa euristica.

Scendendo maggiormente nel dettaglio e scorporando il "Sì E..." nelle due parti "Sì" ed "E..." possiamo affermare che "Sì" rimanda  alla sfera dell’aprirsi, dell’accettazione, della fiducia nelle proprie capacità, la parte "E…" invece rimanda all’empowerment, alla crescita e realizzazione delle proprie capacità e del proprio potenziale. Per potere “fare con ciò che si ha” bisogna prima accettare ciò che si ha a disposizione senza scartare ciò che non gradiamo e questo è il Sì, per poi agire (e questo è l' E…). Dicendo a una proposta mostriamo la nostra umana vulnerabilità esponendoci alle conseguenze di quel Sì e aggiungendo subito dopo un E... rivendichiamo il nostro ruolo in ciò che sta venendo creato in quel momento.

Quello che dice l'euristica Sì E… è di accettare quello che si ha e usarlo al meglio.

Facciamo un esempio:

- "Mi vuoi sposare?"

- "Sì e voglio venire a vivere con te su nell'Artico"

Questo scambio di battute è sicuramente un Sì E...,

E questo?

- "Mi vuoi sposare?"

- "Dopo quello che hai fatto ieri notte? Assolutamente no!

Se ci atteniamo alla visione del Sì E... come Regola abbiamo qualche difficoltà ad intendere questo secondo scambio di battute come "usare al meglio ciò che si ha" visto che ci troviamo in presenza di un No grande come una casa e perciò d'istinto lo intendiamo come un blocco dell'offerta fatta. Se invece intendiamo il Sì E... come un'euristica allora questo scambio diventa sicuramente un accettare ciò che si ha (una proposta di matrimonio) e un usarlo al meglio per costruire qualcosa insieme (c'è stato un qualcosa che minaccia quel matrimonio).

O volendo tornare all'impepata di cozze di poco fa:

- "Adoro l'impepata di cozze!"

- "Giù le mani! Questa è per tuo fratello: quando porterai almeno un sei in matematica tornerai a mangiarla pure tu. Somaro!"

Il secondo attore - attuando un'euristica e non applicando rigorosamente una regola - accetta la realtà che il primo attore ha creato, cioè che adora l'impepata di cozze, e a questo aggiunge che, visto che va male in matematica, l'agognato piatto gli è precluso. E già che ci sta ricarica pure con l'esistenza di un fratello che invece va bene a scuola.

(Obiezione: Ma il secondo attore ha attribuito il personaggio al primo: non si fa! Risposta: Cambiate corso di improvvisazione. N.d.R.)

A questo punto ve la siete meritata.

Quello che mi piace della tua proposta è...

L'esercizio migliore per comprendere cosa sia il Sì E..., cosa comporti, quali implicazioni presenti e perché preferisco intenderlo come un'euristica è quello in cui un attore fa la peggiore proposta possibile  a un altro attore che deve rispondere con: "Quello che mi piace della tua proposta è...." e completare la battuta a piacere.

Questo esercizio è Sì E... allo stato puro!

Innanzitutto chiarisce una cosa: non si sceglie la proposta migliore per fare Sì E.., ma si accoglie quella che arriva, qualsiasi essa sia. Se inizio a scegliere la proposta che preferisco, allora sto facendo Sì, Ma... (e per questa particolare euristica mi riservo un post a breve) e non Sì E...

Accettare è un'esperienza totale che non ammette mezze misure.

In seconda battuta questo esercizio autorizza l'attore a pensare e proporre cose che altrimenti non avrebbe mai il coraggio di proporre. Quello che mi piace della tua proposta è... comporta risposte sgradite a proposte sgradevoli. Infatti primo soggetto verso cui  applicare il Sì E... siamo proprio noi stessi. Se non ci autorizziamo ad andare a toccare, nei nostri modi e con i nostri tempi, certi aspetti che vorremmo ignorare di noi stessi stiamo andando nella direzione opposta a ciò che è l'Improvvisazione: stiamo attuando la Censura

Non sta all'insegnante o a chi sta ricevendo la proposta valutare se e quanto questa sia "la peggiore proposta possibile", l'importante è:

  • che tale proposta venga fatta
  • che chi la fa possa avere la certezza di non essere giudicato
  • che il compagno la accetti e ne individui immediatamente il lato positivo. 
  • che quest'ultimo sia libero di esplorare liberamente per poter rispondere alla "peggiore proposta possibile". 
Ogni partecipante espone la propria vulnerabilità, sia nel ruolo di chi la proposta la fa che di chi risponde, affidandosi all'altro. Chi risponde prende l'offerta ricevuta e la valorizza abbattendo i propri pregiudizi e di fatto sollevando il primo dalla responsabilità di avere fatto  un'offerta che lui ritiene sconveniente agli occhi dell'altro. 

Questo fa sì che ora i due attori siano legati tra loro a un livello profondo che trascende la mera tecnica teatrale.

Il legame che si crea a valle di questo reciproco riconoscimento della propria vulnerabilità non va sottovalutato, anzi è proprio la pietra angolare sulla quale si costruisce tutto l'edificio dell'Improvvisazione teatrale. 

Sì E... è un'euristica che costruisce comunità.

Sì E... , infatti, si pone al di sopra dei giudizi etici o morali e ci chiede di sospendere il giudizio sia su di noi che sugli altri, per passare immediatamente al Processo, al fare assieme. È un'euristica fondamentale per praticare l'accettazione e sviluppare una cultura che accetti e valorizzi le differenze, al contrario di altre euristiche che - stressando invece la Performance - portano inevitabilmente insegnanti e allievi a rimarcare le diversità tra chi è capace e chi no, chi è portatore di certi valori chi ne è escluso e, perciò, a fatica riusciranno a spingersi oltre la tolleranza.

Non cogliere questo passaggio, su come l'euristica del Sì E... funzioni legando tra loro gli esseri umani abbattendo le barriere basate sulla Diversità, significa non riuscire a comprendere pienamente cosa si sta facendo quando si insegna alle persone a improvvisare, fermarsi alla luce del lampo e al rombo del tuono invece di indagare il fenomeno fisico che li genera.


lunedì 22 giugno 2020

Processo e Performance - Parte 2


LA TESTA DEGLI ALLIEVI (E NON SOLO LA LORO)

Le lezioni di improvvisazione sono il luogo dove il dualismo Processo-Performance viene più violentemente separato. Gli allievi tendono naturalmente a giudicarsi cercando di migliorare la propria Performance a scapito del Processo e parecchi insegnanti inconsapevolmente li incoraggiano in questo. La cosa è comprensibile: il Processo è evanescente, cangiante, impalpabile, la Performance invece è solida, misurabile, palese, così rutilante da essere addirittura in grado di coprire e oscurare il Processo.

Conseguenza palese e drammatica di questo è che chiunque è capace di dire perché una scena è andata male ma solo pochi sono in grado di dire perché è andata beneUn ottimo strumento di selezione della qualità dei docenti di improvvisazione sarebbe quello di sottoporre loro delle improvvisazioni in sequenza costringendoli a intervenire per recuperare le scene che stanno precipitando e a indicare i motivi precisi per cui altre sono andate bene. Chi non è in grado di farlo non è capace di insegnare, per cui si becca un DASPO per un anno dalle aule dove si insegna improvvisazione, per poi ripetere l'esame! 

La ricomposizione della frattura tra Processo e Performance dovrebbe essere uno dei principali obiettivi di ogni corso di improvvisazione.

Quando si è nel Processo perché si sta creando si sta anche "nel momento". A questo punto se si ha un obiettivo chiaro e raggiungibile, in grado di fornire un feedback diretto e immediato, che permetta di concentrarsi nel raggiungimento dello stesso ci si trova nel cuore di quello che Mihály Csíkszentmihályi chiama Flusso, il Flow. Questo è una sorta di stato di grazia, nel quale siamo completamente immersi nel compito, il tempo si dilata, siamo perfettamente padroni di quello che stiamo facendo, la paura del fallimento sparisce, c’è una perdita della consapevolezza di sé e tutto avviene senza sforzo alcuno. Tutti lo abbiamo provato almeno una volta nella nostra vita: magari solo per pochi secondi, ma la sensazione è fortissima e indimenticabile. Le improvvisazioni memorabili avvengono quando ricomponiamo Processo e Performance in un'unica realtà e ci immergiamo in essa. 

Improvvisare è essere nel Flusso.

Ogni allievo del Primo Anno che abbia fatto un esercizio apparentemente banale come la Pallina, ha avuto l'opportunità di entrare in questo Flusso.


Il signore dal cognome impronunciabile vi guarda affannarvi inutilmente e sorride. 


Di contro quando teniamo separati Processo e Performance siamo pienamente consapevoli di noi stessi, di dove siamo e di ciò che cercando di raggiungere, degli strumenti che usiamo, del pubblico che ci guarda e se stiamo facendo bene oppure male; in sostanza siamo fuori dal Flusso. Il timore del Giudizio - nostro, dei nostri compagni, del nostro docente - riguarda sempre soltanto la Performance, non il Processo: il Processo solitamente lo si fa, non lo si valuta. 

Nel Processo ci si sta mentre lo si attua, quando ci si giudica ci si sta preoccupando solo della Performance. Più ci si giudica e meno si è nel Processo,  meno si  sta nel Processo e meno possibilità si hanno di entrare nel Flusso.

Una regola empirica da applicare all'Improvvisazione è: se non ti stai divertendo è perché ti stai giudicando.

Ogni allievo che, durante un qualsiasi esercizio che si fanno in un corso di improvvisazione, sia più preoccupato di fare bene che di fare e basta è fuori dal Processo e, di riflesso, dal Flusso.

PROCESSO, PERFORMANCE E L'ESERCIZIO DELLA PALLINA

Partiamo da uno degli esercizi fondamentali dell'Improvvisazione Italiana che tutti conosciamo: la Pallina 

Challenges - Sfide; Skills - Abilità; Anxiety - Ansia; Boredom  - Noia; Flow Channel - Canale del Flusso 

Partiamo dallo schema in figura e iniziamo l'esercizio con due palline, Rosso e Blu. Se i partecipanti sono alle prime armi molto facilmente si troveranno in corrispondenza del punto 1 ed entreranno nel Flusso. Probabilmente dopo un po' continuare con solo due palline diventerà troppo facile e allora si sposteranno nel punto 2, quello della Noia; oppure l'insegnante introdurrà prematuramente altre palline e allora il gruppo si sposterà nel punto 3: l'Ansia. Entrambi gli stai, Ansia e Noia, tengono gli allievi fuori dal Flusso.

Aumentando il livello della Sfida se siamo nella posizione 2 - o delle Abilità se a quella 3 - gli allievi ritorneranno nel Flusso (punto 4), ma tale situazione è solo temporanea perché a seconda dell'evoluzione dell'esercizio passato un certo intervallo di tempo si ritornerà nell'Ansia o nella Noia e allora bisogna intervenire nuovamente.

Per l'insegnante che voglia lavorare sul Processo la vera sfida proposta dall'esercizio della Pallina  è aumentare il numero delle palline in maniera graduale e puntuale al fine di tenere il gruppo sempre all'interno del Canale del Flusso. Se invece la Pallina viene fatta come un semplice esercizio di concentrazione o per sviluppare l'ascolto e ci si limita ad aumentare le palline per fare divertire i partecipanti, non c'è niente niente di male ma si sta lavorando sulla Performance, mettendo il Processo in secondo piano.

I GAMES

Prendiamo per esempio il caso dei cosiddetti "Games", quegli esercizi come fare una scena nella quale ogni attore ha un numero prefissato di parole da dire in ciascuna battuta o il raccontare una storia con una parola a testa.

Con un poco di pratica è facile trovare scorciatoie e percorsi alternativi per portare a casa il risultato senza entrare veramente dentro il Processo e diventare bravi. Questo "diventare bravi", però, riguarda solo l'aspetto della Performance, non può riguardare il Processo: il Processo o lo si fa o non lo si fa, non c'è spazio per farlo bene o male poiché per giudicarlo bisogna starne fuori, come ho già spiegato. Parlando di Processo non è possibile diventare più o meno bravi nel fare un esercizio: lo si può solo fare.

Tutti conosciamo l'esercizio del raccontare una storia una parola a testa: prendo due attori, li metto uno di fianco all'altro, a contatto tra loro, e chiedo di raccontare una storia una parola a testa.Tale esercizio è meraviglioso per educare gli improvvisatori a focalizzarsi sul Processo e ad entrare nel Flusso.

Fatto davanti a un pubblico questo stesso esercizio diventa una Performance: per gli spettatori tale Performance starebbe nella difficoltà degli improvvisatori nel raccontare una storia fluidamente utilizzando una parola a testa, non nella storia in sé. Ma qui casca l'asino: se invece io a lezione presento l'esercizio come Performance, l'attenzione degli attori si focalizzerà sul raccontare bene la storia e non sul Processo nel raccontarla. Magari avrò sì belle storie, ma saranno Performance sterilmente disconnesse dal Processo.

Per anni ho ritenuto questo esercizio uno degli esercizi più stupidi, inutili e noiosi di tutta l'Improvvisazione, fino a quando non mi ci sono approcciato in termini di Processo e Performance e ora è come una droga: quando possibile lo faccio io in prima persona e lo faccio fare perché trovo la maniera in cui il Processo si dipana in questo esercizio e la Performance che ne consegue una delle cose più affascinanti dell'improvvisazione.

Un'azione, un gesto che riesce senza sforzo apparente genera eleganza, per esempio la Danza Classica. Di contro un gesto, un'azione che riesce nonostante mille difficoltà genera emozione, la finale dei Mondiali di calcio del 2006 finita ai rigori ne è uno degli esempi più eclatanti.

Gli improvvisatori che sono stati formati dai loro insegnanti prevalentemente tenendo separati Processo e Performance si riconoscono perché ciò che fanno in scena è elegante, o almeno quella è la loro preoccupazione: sono bravissimi a darci un risultato e a darcelo bello. Gli improvvisatori formati ricomponendo Processo e Performance - invece - trasmettono emozione, perché gli spettatori assistono alla loro continua lotta per restare nel Processo, cercando di cavalcare l'onda della loro creatività, senza finirne sbalzati e travolti. 

"Mi piace l'odore della Performance al mattino."

Riuscire a tenere separati Processo e Performance, focalizzandosi solo su quest'ultima non è facile per chi fa Improvvisazione; ma un sacco di insegnanti riescono a formare i propri allievi proprio per fare questo. Quando la visione dell'insegnante si incentra completamente sulla Performance allora si arriva a quel concetto perverso dell'Improvvisazione che può essere insegnata solo a chi ha talento, di cui ho parlato qui

Di seguito elenco in ordine sparso alcune situazioni dove la Performance prende il sopravvento sul Processo.

  • Quei begli ambientini dove il Giudizio regna sovrano. L’ambiente migliore per questo sono i corsi degli Amatori, che sono solitamente pieni di persone che sanno di essere valutate sulla base di criteri a loro sconosciuti, utilizzati dagli insegnanti per stabilire chi di loro andrà in scena, chi no e quanti spettacoli farà. È chiaro che questi saranno più preoccupati della Performance che del Processo, visto che sarà questa a venire misurata quando ci sarà da scegliere il cast di uno spettacolo.

  • Non dare obbiettivi chiari e raggiungibili per scene ed esercizi. Meno opzioni ha un esercizio e più rapidamente un allievo può entrare nel flusso; il limite minimo di opzioni per fare una scelta è di tre: quindi se proponiamo esercizi con più di tre opzioni agli allievi, questi passeranno il loro tempo a valutare le opzioni invece di prendere decisioni repentine per entrare nel flusso. Invece di aumentare le opzioni tra cui scegliere, riducete il tempo per farlo. Per chi vuole ricomporre Processo e Performance il KISS (Keep It Simple Stupid) non è un'opzione!

  • Valutate la Performance e non il Processo. Per esempio questo avviene quando si aspetta che la scena sia finita per dire cosa non ha funzionato, invece di dare istruzioni puntuali, brevi e precise che l’allievo possa eseguire immediatamente mentre sta improvvisando (“Apri la porta!”, “Diglielo!”, “Digli ‘Ma, non è di questo che volevo parlarti’!”) È mentre si sta facendo la scena o l'esercizio che c'è l'opportunità di entrare nel Flusso. Parlare dopo che la scena è finita - e l'occasione di fare stare gli allievi processo è passata - può servire a spiegare il perché di certe indicazioni date, ma certamente non interviene su ciò che è accaduto. Da evitare assolutamente quei feedback dove si dice loro cosa ha fatto tanto ridere, specialmente quando sapete che l'idea era pensata da venti minuti prima almeno; oppure dire loro solamente cosa hanno sbagliato, così la prossima scena saranno più preoccupati di quello che fanno che di come lo fanno.

  • Usate il verbo Dovere. Dovere è il verbo principe della Performance: “devi fare questo, non devi fare quello”. Ed è anche il verbo dell’Autorità: “l’esercizio lo dovete fare così”, “La scena deve andare così”, “Non dovete dire no” e perché? Perché lo dico io. Dovere è il verbo del Giudizio. Quindi evitate questo verbo e  se proprio non potete farne a meno non usatelo all'Indicativo, ma al condizionale: datevi una possibilità. Inoltre evitate di andare da chi ha appena fatto una scena con voi e senza avere titolo alcuno dirgli “Quando io ho fatto questo tu dovevi fare quest’altro”: non volete dare un feedback, volete rimproverarlo perché ha rovinato la vostra performance.

  • Mettersi d’accordo su cosa fare una volta in scena. C’è davvero bisogno che lo spieghi? È chiaro che se vi mettete d’accordo è perché siete più preoccupati della vostra Performance che di tutto il resto!



giovedì 18 giugno 2020

Processo e Performance - Parte 1



L’Improvvisazione teatrale è attraversata da varie polarità, una l’abbiamo vista qui, la più importante delle quali penso sia quella Processo – Performance.
Solitamente il Processo è la parte dove si va a creare una Performance: i mesi di prove, i bozzetti, gli sketch, i ciak scartati, tutta quella roba lì insomma. La Performance è invece il momento dove il risultato del Processo viene presentato al pubblico e dove si possono verificare e misurare i risultati del Processo.

In un post precedente ho scritto di come l’Improvvisazione sia "fare con ciò che si ha" e questo comporti il fatto che sia anche "stare nel momento", in virtù di questo non posso separare in maniera così netta Processo e Performance: nell’improvvisazione Processo e Performance sono la stessa cosa. Gli spettatori di un'improvvisazione assistono al Processo di creazione di una performance e questo è la Performance stessa.

La Performance di una scena o di un esercizio di improvvisazione è il Processo che porta a quella stessa Performance.

Questo è un po' come la natura ondulatoria-particellare della luce che tanto ha fatto impazzire i fisici un secolo fa: se valutiamo la Performance di una improvvisazione possiamo arrivare a conclusioni che ignorano il Processo in atto, ma se ne osserviamo il Processo allora la Performance scompare. Quindi come approcciarsi all'improvvisazione teatrale? Come muoverci all'interno di questa polarità?

"...vi dirò che anche i miei studenti di fisica non capiscono queste cose. E non le capiscono perché non le capisco nemmeno io. Il fatto è che non le capisce nessuno." R. Feynman

Questo dualismo attraversa vari aspetti dell'improvvisazione, cambiando forma a seconda del contesto, impattando sulla comprensione della stessa in maniera drammatica.

Qui ne presento alcuni aspetti, tra i più macroscopici.

A CHI MI RIVOLGO QUANDO IMPROVVISO?

Quando valuto una scena improvvisata o uno spettacolo di improvvisazione ho la responsabilità di trovare un equilibrio tra la Performance e il Processo, tra il ciò che è stato fatto e il come è stato fatto. Quanto gli attori mi hanno sorpreso e divertito? Quanto mi hanno coinvolto? Quanto erano dentro quello che stavano facendo? Quanto erano connessi tra loro e con il pubblico? Quanto mi hanno riproposto qualcosa che sapevano già che avrebbe funzionato e quanto si sono lasciati sorprendere da ciò che essi stessi creavano?

La polarità Processo-Performance dipende dal soggetto a cui mi rivolgo quando improvviso: se penso che sia il pubblico ad apprezzare maggiormente il mio lavoro allora sarò impegnato maggiormente nella Performance, se invece penso di rivolgermi a altri professionisti sono nel Processo.

I termini "pubblico" e "professionisti" sono da intendersi nella maniera più estesa possibile: il pubblico non è per forza quello del teatro, possono anche essere i miei stessi compagni di scena; alla stessa maniera non ho bisogno di avere realmente altri professionisti a guardarmi. Intendete queste due categorie come una sorta di spettatori ideali cui ci si rivolge.

Questa partizione  non riguarda la qualità del risultato, ma il significato più profondo del perché lo faccio. Chiaramente ci saranno gli spettatori a guardare la mia improvvisazione, ma è il loro plauso quello che cerco? Se il pubblico non apprezza quanto facciamo come ci aspettavamo chi sbaglia, noi o loro? Giudicare un'improvvisazione da quanto il pubblico l'ha gradita è un metro corretto di valutazione? 

Dalla mia esperienza posso dire che è possibile avere Performance ottime con un Processo scadente poiché ogni improvvisatore ha la sua "valigia degli attrezzi" con la quale portare a casa il risultato. Non è vero, però, il contrario: se il Processo è buono lo sarà anche la Performance.


Chi voglio che apprezzi il mio lavoro, lo Spettatore o il Professionista?


TECNICHE PERFORMATIVE

Visto che parliamo di improvvisazione teatrale, questo implica che non è possibile prescindere in toto dall'aspetto performativo di ciò che stiamo facendo. Chi fa improvvisazione teatrale non può non avere un corretto utilizzo della tecnica teatrale: bisogna che la sua voce arrivi agli spettatori, che si abbia almeno una conoscenza di base dello stare in scena e una consapevolezza del proprio corpo scenico. Ma questi aspetti tecnici rientrano nella Performance o nel Processo?

Il mio pensiero è che entrambi siano intrinsechi all'improvvisazione teatrale e che acquistino due valenze differenti a seconda che parliamo di Performance o Processo.

È chiaro che farsi sentire quando si parla, sapere padroneggiare lo spazio scenico e sapere usare bene il corpo impatta enormemente nella Performance. Di improvvisatori che quando vanno in scena e parlano non si sentono per niente, ne faremmo volentieri a meno, mentre quelli che padroneggiano le tecniche teatrali sono un piacere da seguireè altrettanto vero, però, che se l'improvvisazione è "fare con ciò che si ha", più cose si hanno a disposizione e più cose si possono fare, quindi l'insegnamento delle tecnica teatrale non riguarda solo l'aspetto tecnico della Performance, ma impatta anche sul Processo stesso.

Infatti, cosa scatenerà nell'allievo quella tecnica appena acquisita? Quali porte aprirà nella sua creatività? Non è possibile pensare che l'imparare a usare la voce, per fare un esempio, si limiti solamente al farsi sentire meglio dal pubblico: l'acquisizione di tale strumento renderà possibili cose nuove, prima precluse all'allievo. Queste cose, a loro volta, avranno un certo impatto nei suoi processi creativi e gli daranno la possibilità di ulteriori scoperte, allargando così il raggio d'azione della sua creatività. 

In genere il docente considera insegnare una tecnica teatrale, come ad esempio l'utilizzo corretto della voce, una questione meramente tecnica, propedeutica agli insegnamenti successivi, un po' come per un insegnante di musica insegnare al proprio allievo ad usare tutte le dita per suonare il pianoforte.

Ciò è sicuramente vero, ma c'è dell'altro: per l'allievo di improvvisazione teatrale apprendere l'uso della voce è più simile ad avere a disposizione una tastiera più ampia e con più ottave, sempre per continuare con la metafora del musicista; un qualcosa che offre opportunità e connessioni prima precluse. Secondo questo ragionamento, lavorare su tecniche che noi siamo abituati a concepire come prettamente "teatrali" o tecniche di palco, porterà benefici soprattutto al Processo dell'improvvisazione. Perciò l'insegnante che pensa di lavorare per migliorare la Performance, in realtà sta intervenendo anche sul Processo.

Questi benefici sono indipendenti da ciò che l'insegnante può controllare e verificare, ma è fondamentale essere consapevoli dell'esistenza di tali processi.

Ma il discorso Processo-Performance non finisce qui...

lunedì 15 giugno 2020

Insegnare l'Improvvisazione Parte 4 - Bocciature



Tutti e due gli approcci  riportati nella Parte 3 devono confrontarsi con la questione della valutazione degli allievi e del decidere cosa fare con quelli che hanno maggiori difficoltà. Un discorso a parte lo merita lo spinoso tema della bocciaturache nel caso dell'improvvisazione è un argomento controverso e a tratti paradossale.

Personalmente non sono un amante delle bocciature: in linea di massima ritengo l'aspetto emancipatorio trasmesso dall'improvvisazione incompatibile con il rapporto di sudditanza che la bocciatura comporta. 

Sono fermamente convinto che se un allievo debba venire bocciato la responsabilità di ciò sia del docente. Se valuto che qualche allievo non abbia pienamente le capacità per passare all'anno successivo preferisco confrontarmi con gli altri docenti e con lui per decidere congiuntamente il da farsi. Può essere che si decida che è bene fermarsi un anno, oppure accettarlo nell'anno successivo, ma chiedendogli di seguire anche le lezioni del vecchio anno o qualsiasi altra si pensi di dovere percorrere.

Il passaggio più importante sta nello stabilire quali siano le finalità del corso e quali aspettative aveva questa persona quando si è iscritta: ha senso tenere un criterio altamente selettivo in un corso composto da allievi che lo fanno perché li fa sentire bene? E di contro: ha senso accettare in un corso finalizzato alla messa in scena di uno spettacolo, allievi che invece sono lì solo per l'aspetto sociale?

Nel caso voglia mettere in scena uno spettacolo, faccio un casting prima per selezionare gli attori, non li boccio perché li reputo al di sotto del livello richiesto: se ho selezionato attori non all'altezza la mancanza è mia.

Se invece faccio un corso finalizzato alla messa in scena di uno spettacolo e ad un certo punto penso che ci sia qualcuno che è rimasto troppo indietro e che ha difficoltà a garantire la qualità richiesta, vuole dire che ho sopravvalutato le mie capacità di insegnare quel corso: fare fuori quelli che non raggiungono lo standard richiesto a questo punto diventa un tentativo maldestro di nascondere la mia incompetenza.

È in questo istante che si concentra l'ebbrezza del Potere.


Chi ritiene utile ai fini della propria didattica il criterio delle bocciature è ovviamente libero di farlo, ma l'integrità richiede di implementare i seguenti punti prima di applicare il criterio della bocciatura :

  1. Gli obbiettivi didattici e  le finalità del corso devono essere palesati a inizio corso/modulo/workshop e se possibile condivisi. Valutare e magari bocciare qualcuno senza avergli detto prima su cosa sarebbe stato valutato e addirittura bocciato è kafkiano. Se si boccia un allievo senza prima avere fatto questo passaggio, nei suoi riguardi non si è fatta pedagogia, si è solo data una lezione sull'Arbitrarietà Del Potere. Se non si è capaci di definire e condividere gli obbiettivi didattici in apertura dei corsi, ricordo che l'agricoltura ha bisogno di manodopera, perché all'improvvisazione corsi e docenti simili non servono.

  2. Se si parla di bocciatura il momento della formazione deve essere separato da quello della valutazione. L'allievo deve essere libero di provare più strade per arrivare al risultato, gli deve essere data l'opportunità di sbagliare e di trovare la propria via di esprimersi, senza timore che questo possa compromettere il suo percorso. Non è corretto valutare ai fini di una bocciatura o meno qualcuno senza informarlo che in quel momento lo si sta valutando. Non sapere quando si viene valutati e con in più il rischio di venire bocciati è cosa più da Stasi che da corso di improvvisazione. Se invece si ritiene più utile valutare l'allievo durante tutto il percorso e non in momenti specifici, semplicemente vanno previsti fin dal principio percorsi alternativi a quello della bocciatura.
  3. Formazione E Valutazione
  4. Se la valutazione prevede come conseguenza una possibile bocciatura, l'allievo deve sapere quando sta venendo valutato: non ci vuole Cesare Beccaria a spiegare perché. Ed è qui che il discorso delle bocciature da controverso passa a paradossale. La Spontaneità è componente fondamentale dell'improvvisazione e perciò parte cruciale di qualsiasi valutazione, ma come posso imporre a un poveretto un doppio legame di Bateson dicendogli "Sii spontaneo che ti sto valutando" e poi magari bocciarlo perché non lo è? Tanto varrebbe legarlo mani e piedi e gettarlo in acqua come si faceva con le streghe poi se annega è promosso, se invece non va a fondo è perché non è bravo e allora lo si boccia. Questo non è un sofisma, ma è la carne viva dell'improvvisazione: cosa è l'essenza di ciò che insegniamo quando insegniamo improvvisazione? Cosa c'è sotto la mole di esercizi, scene e quant'altro che ci accomuna? Perché è questo il cuore di ciò che dovremo valutare.
    Se non affoga allora non c'è spontaneità
  5. Non si boccia nessuno a freddo. Se qualche allievo dovesse essere a rischio bocciatura è compito dell'insegnante palesare all'allievo per tempo le mancanze e stabilire dei percorsi dove cercare di ridurre il deficit a prescindere dall'approccio scelto. Arrivare alla fine del corso o del modulo e poi a sorpresa bocciare qualcuno è un comportamento a dire poco infame.
  6. Ogni bocciatura è un fallimento del docente. Questo deve essere chiaro. Sempre.
Se questi punti vengono meno, ogni discorso sulle bocciature riguarderà solo il piacere che l'insegnante prova nel potere esercitare il proprio potere sugli allievi; il bocciare perde ogni fine pedagogico diventando solo la maniera di togliersi dai piedi allievi che non si non è capaci di gestire, con l'aggravante dello scaricare su di questi ogni senso di colpa e responsabilità.

Tu sei in grado di valutare Frodo? Non essere troppo ansioso di elargire morte e giudizi.
Anche i più saggi non conoscono tutti gli esiti.

Il minimo sindacale

  Quando iniziai a scrivere qui mi ripromisi che avrei scritto soltanto se avessi avuto qualcosa di intelligente da dire e non per generare ...