giovedì 11 giugno 2020

Insegnare l'improvvisazione teatrale. Parte 3 - Approcci


Questa è la prima di una serie di polarità che attraversano l'improvvisazione e l'insegnamento della stessa di cui parlerò un po' alla volta.

Tolta la fauna descritta nel post precedente (post che potete trovare qui) rimane una distinzione pedagogica più alta: quella tra ciò che definisco come Io insegno solo ai campioni e quella Il gruppo avanza alla velocità del più lento. Ogni insegnante e ogni scuola si collocano tra questi due poli in maniera più o meno marcata.

Quanto segue non vuole essere un giudizio morale o etico su determinate scuole, classi o insegnanti: è semplicemente la riduzione all'osso di una serie di impostazioni, quasi sempre assunte implicitamente e con le migliori intenzioni da parte dei soggetti responsabili di attività didattico-pedagogiche. Questa è una polarità forte e drammatica, che in realtà  attraversa tutto il mondo dell'improvvisazione teatrale, non solo le scuole, ed è insito in ogni attività didattico-pedagogica, in quanto riguarda il valore che diamo a ciò che facciamo.

Ogni scuola di improvvisazione dovrebbe avere ovunque dei cartelli scritti in grande che chiariscano a quale delle due filosofie aderisce e dovrebbe prendersi il tempo di ribadire il concetto ad ogni allievo prima di prenderne la quota di inscrizione. Sarebbe un gesto di trasparenza che eviterebbe loro di infliggere inconsapevolmente sofferenze a persone ignare che si iscrivono a un corso di improvvisazione convinti di ottenere delle cose per poi ritrovarsi arruolati in un viaggio verso una direzione completamente opposta.


IO INSEGNO SOLO AI CAMPIONI


Chi  non vorrebbe che fossero così i propri allievi?


Io insegno solo ai campioni 
riconduce a una visione un po' classista dell’improvvisazione: c’è chi è bravo e chi no e i non bravi fanno perdere tempo ai bravi. E sono i bravi quelli che fanno progredire l’Improvvisazione. Per tutti gli altri c'è posto a patto che non rallentino la marcia.

Le classi degli insegnanti che sposano questa visione normalmente hanno questi tratti in comune:

  • elevata concentrazione di allievi altoperformanti

  • alta proceduralizzazione delle scene

  • scarsa flessibilità degli allievi

  • elevati livelli di ansia degli allievi

  • scarsa propensione al rischio

  • bassa responsabilità percepita dagli insegnanti sul risultati negativi degli allievi.

L’elevata concentrazione di altoperformanti la si ottiene perché l’ambiente della classe è implicitamente escludente verso chi non tiene il passo e perciò abbandonare il corso è più facile per chi non si sente all’altezza della performance richiesta. Va chiarito che l’Implicitamente Escludente è lo stato più diffuso nelle classi di qualsiasi disciplina, ma nel caso in questione tale stato è più intenso. L'insegnamento è fortemente focalizzato verso la performance, qualsiasi significato tale performance possa assumere. L’abbandono da parte dei bassoperformanti aumenta la pressione sui normoperformanti e allo stesso tempo rinforza lo status degli altoperformanti accelerando i processi disgregativi all'interno del gruppo. Si crea così una sorta di pressione selettiva che fa sì che sul medio-lungo periodo rimangano i "cavalli di razza" e pochi altri. 

L’alta proceduralizzazione delle scene è allo stesso tempo causa ed effetto dell’impostazione “io insegno solo ai campioni”: per insegnare ai campioni ho bisogno di standardizzare le performance per poterle insegnare e misurare l’avanzamento dell’allievo rispetto all’obiettivo prefissato. Ma per potere misurare, devo fissare prima cosa misurare e poi come farlo. Questo fa sì che la pratica dell’improvvisazione venga incanalata dentro meccanismi causa-effetto per vedere se l’allievo raggiunge il risultato desiderato o segue il percorso desiderato o, meglio ancora, fa tutte e due le cose. Spesso il corso è finalizzato non tanto a dare agli allievi competenze a tutto tondo, ma a renderli performanti nell'ambito del format principale della scuola.

La scarsa flessibilità degli allievi è diretta conseguenza di quanto sopra: al bisogno dell’allievo di punti fermi si somma la necessità dell’insegnante di standardizzare e misurare, perciò spesso le deviazioni dalla norma vengono classificate come bassoperformanti. L'improvvisazione è vista sempre meno come un territorio dove fare scoperte e sempre più come un insieme di regole e procedure per fare "bene" una scena (sul concetto di Bene e Male nell'improvvisazione mi riservo di fare un post in futuro). Questo fa sì che vengano tendenzialmente prese solo iniziative che si pensa verranno approvate dall'insegnante. La conseguenza di ciò è che le iniziative che escano da quello che viene percepito come il seminato progressivamente usciranno prima dall'accettabile e poi dal pensabile del gruppo degli allievi, restringendo di fatto le opzioni a loro disposizione. Può capitare che gli allievi si iscrivano a corsi alternativi della loro scuola per vedere se cambiando, per esempio, format possono recuperare il deficit accumulato. Solitamente queste esperienze si rivelano frustranti perché anche se in questi corsi gli allievi riuscissero a trovare un ambiente favorevole, vengono poi valutati (e valutano loro stessi) in funzione del corso principale. L'uscita degli elementi che non si trovano a proprio agio con la visione del gruppo rinforza questa visione, costringendo gli elementi più vulnerabili ad allinearsi e vedere la loro frustrazione aumentare o ad uscire pure loro. 

Questo genera un’ansia generalizzata che fa sì che gli allievi si affidino di più alle procedure che permettono loro di “fare bene” e di ricevere l’approvazione dell’insegnante, invece di prendersi rischi che li portino lì dove il ghiaccio è sottile col rischio di finire tra i bassoperformanti. Inoltre è facile che questa ansia inneschi nel gruppo la ricerca di capri espiatori per giustificare tra gli allievi le difficoltà a raggiungere gli obbiettivi fissati dal docente. Uno dei sintomi è la frequenza con la quale gli allievi tendono a fare gli esercizi e le scene sempre con quelli ritenuti "capaci" schivando i compagni ritenuti "difficili" o semplicemente meno bravi. Un insegnante che deve ripete che ripete più e più  volte "Chi va?" quando c'è già un attore in scena che aspetta il compagno è un sintomo che non può non essere ignorato. 

Una delle principali conseguenze di quest'ansia - ma che allo stesso tempo ne è motore - è la scarsa propensione al rischio da parte degli allievi. Questo non si tradurrà nel non volere fare le cose, ma nel seguire istintivamente percorsi sicuri, aggrappandosi a cliché, categorie, visioni distorte della drammaturgia e altro. L'effetto macroscopico è la presenza di una certa ripetitività di situazioni, personaggi e dinamiche, in sostanza di un approccio conservativo all'improvvisazione. La tendenza ad andare in scena sempre con le stesse persone, magari gli amichetti bravi, è un segnale di scarsa propensione al rischio da parte degli allievi. Una soluzione è quella di sorteggiare ogni volta i nomi di chi dovrà fare l'esercizio.

Diventa chiaro alla luce di quanto esposto che per l’insegnante sia naturale scaricare la responsabilità delle basse performance alla presunta incapacità dell’allievo invece di mettere in discussione le proprie didattica e pedagogia. Tutto è standardizzato e dà risultati osservabili, quindi la responsabilità del mancato raggiungimento deve essere dell’allievo perché mettere in discussione la metodologia didattico-pedagogica vorrebbe dire mettere in discussione l’impostazione di base dell’identità dell’insegnante, il suo ruolo e la sua stessa identità. Infatti all'interno di questa visione l'insegnante è lì perché lui (o lei) per primo ha superato la stessa selezione quando era allievo ed è in virtù di questo che si è guadagnato i titoli per insegnare. 


IL GRUPPO AVANZA ALLA VELOCITÀ DEL PIù LENTO


Chi non vorrebbe che fossero così i propri allievi?

L'approccio il gruppo avanza alla velocità del più lento è invece più democratico (qualsiasi cosa democratica voglia dire) di quello "Io Insegno Solo Ai Campioni": l’improvvisazione è una cosa alla portata di tutti e tutti devono potervi accedere.

L’approccio “il gruppo avanza alla velocità del più lento” significa che nessuno deve restare indietro in quanto l’aspetto sociale e comunitario della lezione dell’improvvisazione improvvisazione è un obiettivo implicito della lezione stessa, a prescindere dagli argomenti trattati.

Attenzione! Tali corsi non sono momenti dove ci si ritrova per divertirsi tutti assieme a prescindere dal tema della lezione perché l’importante è stare assieme: no, sono classi di improvvisazione con obiettivi didattici specifici, alla stregua delle altre, solo che la metodologia didattica è diversa perché l'attenzione è più centrata sui risultati del gruppo che del singolo.

Se in Io Insegno Solo Ai Campioni ci si focalizza sul Singolo e sulla Performance, qui ci si concentra sul Gruppo e sul Processo, ma l'obbiettivo è lo stesso: formare improvvisatori capaci e preparati.

Le classi delle scuole e degli insegnanti che seguono questo approccio sono solitamente caratterizzate da:

  • maggiore incidenza di normoperformanti

  • maggiore destrutturazione di scene e lezione

  • maggiore responsabilità percepita del docente sul risultato dell’allievo

  • Maggiore propensione al rischio

Se si parte dal presupposto che nessuno va lasciato indietro, ne consegue che il docente si sente maggiormente responsabile dei risultati del singolo allievo. Se il gruppo va a rilento, bisogna identificare chi lo sta rallentando e operare prontamente per ridurre il suo deficit verso il resto del gruppo. Se l’allievo non raggiunge i risultati sperati la responsabilità è del docente che non è riuscito a trovare gli strumenti adeguati, non della lentezza dell’allievo. La valutazione dei progressi dell'allievo tiene conto anche da dove partiva, non solo se ha raggiunto o meno l'obiettivo: se devo arrivare a Roma e mi fermo ad Orte c'è una bella differenza del lavoro fatto se sono partito da Firenze o se partivo da Oslo! 

Questo fa sì che le lezioni siano più destrutturate in quanto non ci sono percorsi prefissati per raggiungere l’obbiettivo, ma bisogna agire per prove ed errori nel trovare la soluzione ottimale per quel singolo allievo in quello specifico momento. Per lo stesso motivo le scene avranno una dimensione meno procedurale e più esplorativa perché è necessario lavorare su ciò che emerge nel momento in cui emerge invece di doverlo scartare perché distoglie dal raggiungimento dell’obiettivo. È valorizzando ciò che l'allievo crea e dandogli fiducia che lo si fa crescere ed è formando ciascun allievo a valorizzare ciò che l'altro può dare - a prescindere dal valore oggettivo di ciò che viene dato - che si insegna a "fare con ciò che si ha e non con ciò che si vorrebbe".

Per fare tutto ciò bisogna creare un ambiente che permetta veramente agli allievi di mettersi in gioco e che l'abusata espressione "nell'improvvisazione non c'è errore" non sia solo una dichiarazione di facciata. Qui, ancora una volta, il peso della responsabilità ricade sul docente che deve creare un setting educativo che agevoli gli allievi verso una maggiore propensione al rischio.

Alcune indicazioni di principio: 

  • Il ritorno che il docente dà al lavoro degli allievi deve essere particolarmente curato e puntuale.
  • Separare il giudizio di ciò che l'allievo ha fatto da ciò che l'allievo è: è facile sentirsi psicologi e fare affermazioni che travalicano l'improvvisazione, ma bisogna sempre ricordarsi qual è il proprio ruolo.
  • Limitarsi a commentare solo ciò che è stato fatto in scena, astenendosi da sproloqui su come sarebbe stata bella la scena che comincino con "Se tu avessi fatto..." e altre espressioni simili.
  • Focalizzarsi preferibilmente su ciò che è stato fatto bene, fosse anche una singola cosa, invece che su ciò che è andato male.
  • Non sottovalutare l'Effetto Pigmalione.
  • Al di là delle belle parole sono non verbale e paraverbale del docente che stabiliscono se il setting è "sicuro" oppure no. Quindi sappiate che non potete fingere troppo a lungo di essere ciò che non siete.

Il rischio dell'approccio "Il gruppo avanza alla velocità del più lento" è che alla fine ci siano più allievi normoperformanti in quanto da un lato l’attenzione ai bassoperformanti ne riduce la percentuale spingendoli verso l'alto, mentre dall’altro gli altoperformanti possono sentire un calo di motivazione e di interesse perché non sufficientemente ingaggiati e di conseguenza lasciare il corso.

Per il docente o la scuola che seguono questo approccio la sfida principale quella del trovare il giusto equilibrio tra il ridurre il deficit dei bassoperformanti e allo stesso tempo mantenere gli altoperformanti ingaggiati per non perderli. La sfida successiva è quella di riuscire a mantenere salda la barra del timone verso l'obbiettivo della lezione senza perdersi per seguire le paturnie degli allievi. Inoltre quanto si può destrutturare una lezione prima che la lezione diventi improvvisata anch'essa?


QUINDI?

Io Insegno Solo Ai Campioni e Il Gruppo Avanza Alla Velocità Del Più Lento sono due poli, non due categorie. Questo significa che ogni insegnante e ogni scuola si posizionano tra questi due estremi e spero che nessuno si trovi negli estremi che ho descritto rappresentandoli al 100%! Ogni approccio ha i suoi vantaggi e svantaggi e dove ci si posiziona lungo questa polarità dipende dalla propria esperienza, dalla propria formazione, dalla propria visione e dalle proprie finalità. L'importante è capire che non c'è un approccio migliore dell'altro in valore assoluto e che entrambi partono armati delle migliori intenzioni.

Però - ripeto - è cruciale dire chiaramente a chi si iscrive a un corso di improvvisazione cosa deve aspettarsi durante il corso stesso.



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