lunedì 10 agosto 2020

Di quale storia parliamo quando parliamo di storia nell'improvvisazione?

 

Nei post precedenti ho parlato di come diventi una trappola il credere che gli improvvisatori debbano raccontare una storia a tutti i costi (qui e qui).

Qui, invece, ho parlato di come l’Improvvisazione sia Processo ma anche Performance e di quanto sia necessario conoscere le tecniche performative proprie del Teatro.

Adesso, però, per continuare a parlare della "storia" è necessario chiarire ciò che rende l’Improvvisazione diversa dal Teatro, ma al tempo stesso anche Teatro.


Il Teatro di Prosa funziona sulla base di un cortocircuito: quando gli spettatori assistono ad uno spettacolo teatrale, si trovano di fronte ad un qui ed ora che è contemporaneamente anche un altrove e in un altro tempo. Davanti a loro stanno gli attori che recitano Amleto, ma allo stesso tempo gli spettatori sono portati in un tempo passato ad Elsinore, alla corte del Re di Danimarca. Ed è in questa sovrapposizione dei due piani che sta la magia del teatro.

L'Improvvisazione Teatrale aggiunge un altro elemento: gli spettatori assistono in diretta all'atto creativo degli attori nell'istante stesso in cui questo avviene. Dalla corteccia cerebrale al palcoscenico senza intermediazioni di sorta!

Una conseguenza di questo è che in una scena di improvvisazione vanno in scena non una, ma due storie, qualunque sia il significato che si voglia dare al termine "storia". E sono tutte ugualmente importanti per il pubblico!


La Prima Storia è quella che riguarda i personaggi.

Come spettatori siamo affascinati e vogliamo sapere cosa fanno e che ne sarà dei personaggi che vediamo sulla scena, come avviene per il teatro di prosa.


La Seconda Storia è quella che riguarda gli attori.

Non dobbiamo dimenticare che l’improvvisazione è un atto creativo messo in scena davanti a un pubblico senza intermediazioni, come ho scritto poco sopra. Ne consegue che la componente della relazione tra gli attori è imprescindibile, a meno di non volere esercitare una censura su ciò che sta accadendo in scena.

Talvolta questa “seconda storia” per gli spettatori è più importante della “prima storia” che si riduce ad essere solo un elemento secondario di ciò che sta accadendo in scena. C'è il rischio che la seconda storia possa diventare il pretesto per un nuovo Sì Ma… se gli attori la usano per non assumersi responsabilità e fuggire dalla prima storia.

Infatti, capita spesso di vedere attori che, trovandosi di fronte a una situazione emotivamente sfidante come una scena d’amore o una decisione difficile da fare prendere al personaggio, spostino la dinamica della scena solo sul piano della relazione coi loro colleghi improvvisatori, pur di non affrontare le difficoltà della sfida.

Per esempio, un attore che sente di essere rimasto solo in scena troppo a lungo potrebbe rivolgersi verso le quinte e far dire al suo personaggio “Ho fiducia che non resterò a solo ancora a lungo” con un’intonazione che non lascia dubbi sul fatto che questa sia una richiesta di aiuto verso i colleghi. E molto probabilmente il pubblico apprezzerà.

Ricordo che una volta eravamo almeno cinque attori in scena e ad un certo punto c’era una lettera da leggere.

Ora chiunque abbia fatto un po’ di improvvisazione sa che leggere una lettera immaginaria ad alta voce è una delle sfide più difficili per un improvvisatore. Leggere una lettera richiede una terribile assunzione di responsabilità, perché si tratta di definire in maniera chiara e determinante cosa accade in quella scena; l’istinto ci urla di non leggerla e di far leggere quella dannata lettera a qualcun altro. 

Che si prenda lui quella responsabilità!

Bene, eravamo in cinque e in scena comparve quella lettera (immaginaria) da leggere. A quel punto il primo personaggio passò la lettera a un secondo personaggio affinché la leggesse, questo tergiversò e poi la passo ad un terzo attore già da subito in difficoltà.

Chiaramente a quel punto si era passati dalla Prima Storia alla Seconda Storia: al pubblico in quel momento non interessava sapere cosa dicesse la lettera, ciò che lo stava appassionando era seguire gli sforzi che gli attori facevano per non essere quello a cui toccava leggerla.



In quel caso il passaggio da una storia fu virtuoso, ma non è sempre così.

John Vorhaus nel suo libro Scrivere Il Comico dice che la Comicità è "la Verità più il Dolore"; una cosa ci fa ridere perché ci fa soffrire e allo stesso riconosciamo che è vera. Un esempio sono le barzellette sulla morte: ci spaventa, ma allo stesso tempo sappiamo che è inevitabile.


Questo principio applicato all'attore che improvvisa porta a due differenti risultati a seconda che riguardi la Prima o la Seconda Storia.

Nella Prima Storia la risata scaturisce dal fatto che il pubblico riconosce il dolore del Personaggio come il suo e la Verità di quel dolore lo muove al riso.

Nella Seconda Storia lo spettatore ride perché riconosce la difficoltà in cui si trova l’attore in quel momento ed è sollevato dal fatto di non essere al suo posto.

Da un certo punto di vista si può dire che nella Prima Storia lo spettatore ride con l’attore, nella Seconda ride dell’attore. Perciò bisogna prestare attenzione al liquidare con troppa leggerezza le difficoltà passando dalla Prima alla Seconda Storia, invece di fare sì che il nostro personaggio le attraversi nonostante le reticenze dell’attore.

Questo perché se ci si rifugia troppo spesso nella Seconda Storia, si toglie all’Improvvisazione uno dei suoi più importanti punti di forza: il momento in cui le due Storie combaciano e agli spettatori viene offerta la purezza della Verità.

L'improvvisazione si allontana dal Teatro sopratutto per quanto riguarda il rapporto con l'Autenticità e la Verità.

Il Teatro, infatti, non deve essere vero, deve essere autentico.

Per quanto possa immedesimarmi nel mio personaggio, una parte di me è sempre consapevole che – per esempio – non mi chiamo Amleto, non sono Principe di Danimarca, mia madre non ha sposato mio zio perché mio padre è morto e non sono su una delle torri del castello di Elsinore di notte con la nebbia. Anzi, se faccio ancora qualche passo cascherò giù dal palco!

Se veramente pensassi che tutto ciò sia vero non sarei più un attore, ma un povero pazzo.

La bravura e la difficoltà del lavoro di un attore stanno nel fare apparire le loro emozioni autentiche: come se fossero vere.


Quando si improvvisa, invece, è molto più facile che il Vero faccia capolino. Non che non ci siano momenti di verità anche nel Teatro di Prosa, ma sicuramente in numero molto ridotto rispetto a ciò che accade sul palco di un’improvvisazione.

Infatti, come ho scritto prima nell’improvvisazione gli spettatori assistono all’atto creativo nello stesso istante in cui avviene e questo atto creativo può riguardare sia la storia dei personaggi che quella degli attori.

Quindi, in virtù di questo, può capitare che alla Verità del personaggio si sommi quella dell’attore, che la scoperta del personaggio coincida con quella dell’attore, e che agli spettatori arrivi questa Verità Assoluta.

Non c’è più un palcoscenico che rispecchia la vita vera come solitamente capita a Teatro ("dove tutto è finto ma niente è falso" come dice Proietti), ma un palcoscenico che amplifica e moltiplica la “vita vera”. La Verità sostituisce l'Autenticità.

L’Improvvisazione Teatrale è il luogo dove è possibile vedere la Verità in tutta la sua nudità e tutto il suo splendore, qui stanno la sua forza e la sua unicità.


I No, i Sì Ma… sono solo distrazioni che possono darci sì un appagamento momentaneo, possono anche appagare il nostro ego e il nostro bisogno di applausi, ma ci allontanano da quel Sì E… che è necessario per arrivare a mostrare agli spettatori la Verità di quel momento.

Ma tutto questo non finisce qui...


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