lunedì 3 agosto 2020

Sì Ma... per esperti IIIa: l'Insopportabile Obbligo Della Storia Da Raccontare





Nell'improvvisazione italiana non c'è stata cosa che abbia fatto più danni dell'affermazione "Dobbiamo raccontare una storia".

Per tutti gli anni '90 l'analisi finale dopo ogni spettacolo di improvvisazione rilevava che non erano state costruite storie e che perciò bisognava "raccontare storie".
Il problema era che nessuno però sapeva spiegare cosa fosse una "storia", così per quasi un decennio abbiamo essenzialmente patito l'assenza di un qualcosa che non riuscivamo a definire.
In realtà quello che si pativa era il vedere le scene andare in vacca perché l'istrione di turno voleva brillare per arguzia ed entrando con un battutone o personaggi sopra le righe distruggeva il fragile equilibrio costruito in scena.
Il più delle volte capitava che a mandare tutto in vacca spesso fosse il responsabile locale dell'improvvisazione o una persona che era "culo e camicia" con lui.
Perciò si presentava la scomoda situazione nella quale non si poteva semplicemente dire "Tizio dovrebbe smettere di improvvisare fino a quando non impara a non distruggere tutto", perché altrimenti  quello si sarebbe fatto un gruppo tutto suo e si sarebbe andati allo scisma. Così, pur di non vedere l'elefante nella stanza ci si ostinava a ignorare il problema facendo affermazioni del tipo "Non ci sono state storie" oppure "Però dobbiamo raccontare una storia".

In sostanza, dieci anni di rimozione psicologica.



All'inizio del nuovo millennio avevo ormai capito che nel mondo dell'improvvisazione italiana non c'era nessuno in grado di spiegarmi che cosa fosse una "storia", cosa si intendesse con quel "Dobbiamo raccontare una storia".
Una volta chiarito che per me questa espressione ormai era stata svuotata di significato, mi sono reso conto che se volevo sapere cosa si intendesse per "storia" e quali fossero le modalità per raccontarla al meglio, avrei dovuto arrangiarmi da solo. 
Così, sapendo leggere l'inglese scoprii Keith Johnstone, Joseph Campbell, Viola Spolin e Del Close.
Anche mettere il naso fuori dall'Italia per vedere cosa accadeva al di là delle Alpi mi aiutò in questo percorso personale e mi fece comprendere che quello per che noi, in Italia, era considerato l'intero Universo, in realtà si trattava solo di un mare interno all'interno di un altro mare interno e che al di là delle Colonne d'Ercole si aprivano sterminati oceani inesplorati.

Ovviamente, soprattutto all'inizio, non capii molto di quello che avevo letto e visto oltralpe, ma un concetto era ben chiaro nella mia mente: la maggior parte degli improvvisatori attorno a me, considerati da tutti dei modelli da imitare, erano in realtà dei cani e tutti noi stavamo vivendo in una sorta di Caverna di Platone dove ciò che consideravamo "vero" erano solo delle ombre proiettate sul muro.

Se il mito della Caverna oggi è ancora valido, lo è perché - tra le altre cose - modella una determinata sequenza di avvenimenti. Tra questi c'è il fatto che, quando la persona che arriva alla consapevolezza che ciò che veniva da tutti considerato "realtà" erano solo ombre sul muro e torna nella caverna per comunicarlo agli altri, non viene accolto con gratitudine, anzi...
In aggiunta, se si considera che addirittura una figura autorevole come quella di Gesù Cristo dovette riconoscere il Nemo propheta in patria, allora si ha un quadro completo dell'insuccesso del mio tentativo di modernizzare l'improvvisazione italiana.

Però la Storia con la S maiuscola non la si può fermare, ma solo tentare di rallentarla.

Infatti, dopo pochi anni, Francesco Brandi, figura sicuramente più autorevole della mia, propose un corso di Drammaturgia per gli improvvisatori  e quell'evento fu per tutti noi Lo spartiacque.
Dopo quei corsi di Drammaturgia nulla fu come prima nell'Improvvisazione, nel bene come nel male.

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... oppure come Francesco Brandi che insegna agli improvvisatori la Drammaturgia


Obiettivi, Ostacoli, Conflitti, Prima Forza, Seconda Forza: finalmente fu chiaro a tutti cosa fosse una "storia", come fu chiaro che tutti quegli "improvvisatori modello" che avevano dominato la scena negli anni precedenti fossero, in massima parte, solo dei disperati che, se non si sbrigavano ad aggiornarsi, sarebbero stati tritati dallo "spirito del tempo"
Questo diede l'avvio a una stagione felice dell'Improvvisazione italiana: la qualità delle scene migliorò enormemente. La Drammaturgia assunse un ruolo centrale nella formazione degli allievi e portò ad una migliore qualità degli attori che - a loro volta - davano una migliore qualità alle scene, creando così un circolo virtuoso.
Finalmente le scene improvvisate che facevamo avevano un senso!

Ma si sa: tutte le belle cose finiscono.

Il percorso di Drammaturgia fu (e resta) un percorso lungo per essere compreso e digerito e molti non ebbero il tempo e l'opportunità per seguirlo e fu tra questi che il Sì Ma... prese il sopravvento sotto la forma del "dobbiamo raccontare una storia".

La Drammaturgia, gli Obiettivi, i Conflitti sono un mezzo meraviglioso per permettere all'attore di esprimersi, di liberarsi dall'obbligo della battuta, della facile risata.
Sono uno strumento emancipativo.
E sono una maniera per stare nel Processo.

Ma allo stesso tempo, per chi deve andare in scena "senza rete", questi strumenti sono anche una sirena il cui irresistibile canto parla di certezze, del poter misurare in maniera inequivocabile se una scena sta andando bene o male, del riuscire finalmente a stabilire una regola e poi vedere chi ci si discosta e di quanto.

Sono strumenti rassicuranti, perché chiunque abbia fatto un workshop della durata di un fine settimana sulla Drammaturgia magari pensa di avere capito tutto, anche se l'unica cosa che c'era da capire è che la Drammaturgia è materia difficile, complessa e complicata, altrimenti di Shakespeare ne avremmo uno alla settimana.
Sono rassicuranti perché l'improvvisatore che si è fatto il week-end di Drammaturgia e pensa di avere capito tutto, ora si sente un Padreterno in grado di intervenire per dire se gli attori stanno raccontando una storia oppure no e dove stanno sbagliando. Mentre riuscire vedere, mentre stanno raccontando quella storia, se gli attori siano veramente nel momento oppure no, richiede competenze ed esperienza, due cose che un workshop di tre giorni non può dare.

Perciò l'imperativo dell'improvvisazione italiana divenne: Storia E Drammaturgia a prescindere da come vengono attuate.
Visto che il docente "aveva fatto il workshop di Drammaturgia" era l'Individuo a doversi adattare al Sistema e non il Sistema esaltare le doti dell'Individuo. 

Però quell'applicazione "sovietica" della Drammaturgia all'Improvvisazione permise a tutti questi sedicenti drammaturghi di dare una soluzione semplice a quello che è un problema complesso.

"I sogni della gente si avverano"


In brevissimo tempo tempo la Drammaturgia da mezzo divenne fine.
E lì iniziò tutta un'altra serie di problemi, che ci portiamo dietro anche oggi.




1 commento:

  1. Io sono stupita non ti abbiano ancora accoppato tra un cambio-scena e l'altro. Mascherando l'azione con la storia di Cesare pugnalato da Bruto...
    "La congiura contro il Busi"!!!

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