Tutto quello che non avreste voluto sapere sapere sull'improvvisazione teatrale e non avete mai osato chiedere perché manco sapevate che certi argomenti esistessero
giovedì 30 luglio 2020
Esercizi cui dare fuoco: il Toast
lunedì 27 luglio 2020
Absurderie
Come è nato Absurderie (mi raccomando, si legge Absurderie).
Tanti e tanti anni fa mi capitò fra le mani un testo teatrale in libreria di un certo Ionesco e si intitolava La cantatrice calva. Ero alla ricerca di testi un po’ alternativi per mettere in scena uno spettacolo con una compagnia amatoriale e per qualche motivo sia per la brevità del testo che per le poche e criptiche descrizioni della trama del libro, decisi che quello era l’acquisto che faceva per me.
Una volta a casa lo lessi avidamente e una volta finito, dentro di me echeggiava una frase molto chiara: “Cosa ho letto? Non c’ho capito niente.”
Quindi lo rilessi una seconda volta e come per magia cominciai a ridere di ogni frase, ad ogni pagina, come un matto.
Continuavo a dirmi che non avevo capito niente, ma stavolta avevo riso a crepapelle. Farmi ridere non era semplice e non lo è tutt’ora. Eppure quel libercolo di quel tale Ionesco, roba degli anni ‘50, mi aveva scardinato completamente.
Teatro dell’assurdo. Lo rilessi più volte e a ogni lettura ecco che cominciava a emergere il senso di quello che forse si annidava dentro a quei dialoghi strampalati. Altro che non sense, altro che assurdo. C’era molto sense e molta normale quotidianità in quel libro.
Molto più reale e vero di tanti libri “normali” che avevo letto fino a quel giorno.
Il teatro verità dovevano chiamarlo i critici. La sintesi della verità.
Parole cariche di significato, piene di drammi e di tragicomicità. C’era solo da entrare in un percorso di comprensione altro; un po’ come quei quadri 3D che all’inizio sono incomprensibili e poi sfocando gli occhi riesci ad accedere alla vera forma.
Avevo amato Dalì, Picasso, ma soprattutto di Magritte ero rimasto affascinato e in Ionesco rivedevo, in forma di scrittura, quella forza comunicativa di mettere insieme cose normali in una miscela anormale, distopica, improbabile.
Da improvvisatore avevo sempre avuto una predilezione per i colpi di scena, per i punti di vista alterati, per la fobia di non ripetere mai una battuta detta, uno schema già visto e così avevo perfezionato tecniche per evitare i clichet. Ciò mi garantiva una certa originalità nelle mie proposte in scena.
Certo, per i miei colleghi poteva essere spiazzante non potersi riposare mai andando in automatico, una volta che si paventava all’orizzonte un ricorrente schema di gioco, ma alla fine penso che si siano divertiti di più e di sicuro l'alto livello di rischio, gli spettatori lo avvertivano.
Poi a distanza di anni capita che la mia vita incontra un baratro, una serie di pozzi neri che si susseguono anno dopo anno: 2 lutti, perdita del lavoro, un figlio non nato, uno disabile, la separazione con l’allontanamento da casa e dulcis in fundo un tumorello niente male.
Che fare? Qualcosa è scattato fra un incubo e l’altro e ho cominciato a raccontare frammenti vissuti cercando una chiave surreale e deformata, in modo da disegnare delle spirali che potessero dissipare come serpentine tutta la carica dolorosa dei fatti che in realtà stavano dentro a questi microatti assurdi.
Alla prima lettura quello che arriva è la parte buffa, poi rileggendoli si scopre che non c’è solo la parte buffa e rileggendoli ancora ecco che si incontra il dramma.
Ogni cosa che mi capitava io la scrivevo e ne usciva fuori una scena grottesca. Molto spesso facevo fatica anche io a credere fosse realmente accaduto quello che raccontavo, ma la cosa stupefacente era che non c’era niente di inventato, se non il caleidoscopio che usavo per colorare ogni storia.
In pochi mesi avevo già scritto una trentina di pezzi e mi sono detto che ci avrei potuto scrivere un libro. Così feci. Absurderie. Amazon dava una soluzione molto pratica e indolore. Costo zero, guadagni minimi, ma costo zero. Era quello che mi serviva. Non mi interessava guadagnare, ma pubblicarlo senza spendere.
Fatto il libro, dopo poco, una mia collega e amica mi chiama e mi dice: “troppo forte! Dobbiamo farci uno spettacolo.”.
La mia risposta fu che stesse sopravvalutando quel libretto. Stiamo con i piedi per terra. Mi vergognavo solo a pensarci che avessi potuto scrivere un testo teatrale.
Dopo due giorni,dopo aver riletto due volte ancora il mio libro, chiamai la mia collega e le dissi: “Facciamolo!”.
E siamo partiti. Giulia Bornacin è riuscita a leggere come se fosse me e dava le interpretazioni giuste, nel modo giusto, esattamente come io avrei potuto immaginarle se non di più.
Ho fatto il sito, la pagina facebook e siamo partiti in tournee. Incredibile. Già più di 10 date nel primo anno di vita. Sembrava che le cose andassero da sole.
Per la prima volta stavo credendo in un mio progetto e per quanto potessi ogni tanto perdere la fiducia, il meccanismo di autosabotaggio stavolta non ha funzionato e sono nati dei laboratori, un secondo libro e il secondo spettacolo ancora più intenso del primo.
Aumentano gli interessati e nasce La Piccola Bottega dell’Assurdo con l’intento di un laboratorio permanente per produrre nuovi testi, idee e portarle in scena.
Ma non è solo di teatro che la Piccola Bottega dell’Assurdo si vuole occupare. È un movimento che raccoglie riflessioni, punti di vista, concept grafici, orientamenti innovativi.
Iniziamo una piccola rassegna mensile e poi arriva Covid19. Beh, assurdo, no?
Saltano due spettacoli a marzo, e poi ad aprile e maggio con laboratori annessi. Un bel colpo di scena del cavolo, però.
Passano 7 giorni e sento ancora una forza che mi porta a investire tempo ed energie per lavorare online e produrre video a distanza. Cominciamo a vederci ogni 3 giorni e butto giù un paio di puntate di Benvenuti in Absurdistan, con me e Giulia ci sono anche Monia Cappello e Umberto Mascia.
Ognuno inizia a creare contenuti e io mi concentro sulle maledette tecnologie per andare in diretta streaming e via discorrendo. 6 puntate che riscuotono interesse e spiazzano gli utenti.
Andiamo avanti e poi a fine maggio chiudiamo l’esperienza online. Basta. Vogliamo tornare dal vivo, ma questo lockdown è servito per capire che Absurderie sono anche video e ci piace pure farli. Sì adesso la Piccola Bottega dell’Assurdo sarà un contenitore di atti dal vivo e contenuti video.
Ci piace.
Adesso oltre a me e a Giulia c’è un cast fisso e due gruppi di attori/improvvisatori che si stanno perfezionando per entrare in sintonia con il progetto.
Tutto è ancora molto imperfetto, ma gli ingranaggi si stanno oliando e, senza forzare, fra un po’ tutto andrà a regime e a quel punto romperò lo schema per un nuovo ordine; insomma c’è da lavorare tanto.
Absurderie WiFi sarà il prossimo libro e così si chiamerà anche il prossimo spettacolo. Preferirei stavolta non vivere altri drammi e usare quello che ho, che è già abbastanza. Così per dire, ecco.
Daniele
p.s. dicono che siamo un prodotto di nicchia. La mia risposta ogni volta è : "Bene!!!" (citazione del Gaggini)
giovedì 23 luglio 2020
Sì Ma... per esperti II - Categorie
lunedì 20 luglio 2020
Sì, Ma... per esperti I: Battutari e Costruttori
giovedì 16 luglio 2020
Interludio - Matrioska
Matrioska è uno spettacolo che sviluppai nel 2011 e che per me fu uno spartiacque. O meglio, fu LO spartiacque.
Da qualche anno mi baloccavo nel pensare a spettacoli che funzionassero attraverso degli schemi, delle sequenze, come il già noto La Ronde, nel quale sei attori (A, B, C, D, E, F) improvvisano una sequenza fissa di scene secondo questo criterio:
A-B
B-C
C-D
D-E
E-F
F-A
Se tutto ciò vi suona come qualcosa di già sentito è perché si ispira a una commedia di Arthur Schnitzler.
Mi piaceva l'idea di creare spettacoli diversi ogni volta che alteravo le combinazioni tra gli attori o il loro ordine, il cui risultato finale fosse un qualcosa più grande della somma delle singole scene.
Per circa una decina d'anni avevo lavorato a questo genere di spettacoli di improvvisazione e probabilmente per questo avevo il migliore know-how sulla piazza.
E poi arrivò Matrioska.
Lo spunto per far nascere questo spettacolo venne da un gioco di ruolo, FIASCO, nel quale, in una delle sue espansioni, veniva proposto uno schema chiamato "Il Malinconico Duo Finlandese".
Il fatto che l'idea mi fosse stata suggerita da un gioco chiamato FIASCO avrebbe dovuto farmi suonare da subito qualche campanello d’allarme, ma ero giovane, avventato e quello schema era troppo appetitoso e si presentava così:
quattro attori e quindici scene così ripartite.
A-D
A-B
B-A
B-C
C-B
C-D
D-C
D-C
C-D
C-B
B-C
B-A
A-B
D-A
E in più c'era anche un quinto attore che aveva il compito di entrare nella parte centrale dello spettacolo per fare precipitare gli eventi.
Tutto ciò vi pare complicato? Un po' lo è.
Vi pare inutilmente complicato? Vi sbagliate: il risultato finale vale tutta la fatica che fate per imparare lo schema.
I miei compagni di scena ed io eravamo un gruppo esperto ed affiatato e la sfida non ci spaventava. Eravamo tutti ferrati in drammaturgia e sapevano come cavare fuori una buona storia da una scena.
Sull'onda dell’entusiasmo nato dal lavoro di preparazione a questo spettacolo organizzammo un cartellone di nostri spettacoli di improvvisazione nel quale Matrioska, il nostro nuovo format, avrebbe sia aperto che chiuso la rassegna.
Così la prima serata andammo in scena tutti baldanzosi.
Matrioska fu un flop.
O meglio, tutto andò come doveva andare: c'erano le storie, c'erano i conflitti, c’erano le battute che non distruggevano la storia, solo che il risultato finale era di una noia mortale.
Al termine eravamo tutti delusi e perplessi perché non capivamo la ragione per cui le cose non fossero andate come previsto, soprattutto perché avevamo fatto tutto a dovere. Sapevamo però che da lì a cinque settimane avremmo dovuto replicare lo spettacolo e non c’erano alternative: o si trovava la maniera di farlo funzionare a dovere o lo si sarebbe dovuto annullare.
Fin dalle prime battute ci risultò chiaro che costruire sul momento una storia di quattordici scene richiedeva uno sforzo eccessivo, nel senso che se la nostra attenzione si fosse eccessivamente concentrata nella costruzione della storia, non ci sarebbero restate energie per “stare nel momento” e tenere lo spettacolo vitale. In sala prove la fatica era gestibile, ma davanti a un pubblico diventava eccessiva.
Come risolvere questo problema?
La soluzione richiese un atto di fede: ci si sarebbe focalizzati solo sul reagire onestamente a ciò che avrebbe fatto il compagno in scena, tralasciando ogni velleità drammaturgica.
Ogni scena sarebbe stata a sé stante e al pubblico spettava il compito di costruire la storia.
Chiaramente con l’accumularsi delle scene noi attori avremmo via via acquisito sempre più informazioni sulla situazione che si andava creando e i nostri personaggi avrebbero reagito alla luce di queste informazioni. Avevamo condiviso un unico principio: non bisognava preoccuparsi più di “portare avanti” una storia, ma bisognava reagire a ciò che succedeva mostrando agli spettatori qualcosa di vitale e autentico.
Avevo fiducia che, se noi fossimo “stati nel momento” avremmo coinvolto maggiormente gli spettatori che avrebbero connesso da soli le scene e si sarebbero costruiti la loro storia. Nessuno, noi per primi, avrebbe potuto sapere come si sarebbe sviluppata la storia che andavamo ad improvvisare: lo avremmo scoperto solo alla fine, quando, una volta terminato lo spettacolo, ci fossimo voltati indietro a guardare cosa avevamo costruito.
L’idea era quella di mettere in atto un’interpolazione, cioè creare lo stesso meccanismo che è alla base del fumetto. Infatti cos’è il fumetto se non una successione di disegni e frasi uniti in una storia dal lettore? Il “fumetto” avviene negli spazi tra le vignette: è lì che il lettore crea la “storia”.
Matrioska avrebbe funzionato sullo stesso principio, rappresentando quindici scene che il pubblico avrebbe connesso tra loro. Noi avremmo dovuto solo preoccuparci dell’autenticità delle nostre reazioni.
Così, dopo cinque settimane di prove ed errori andammo in scena e lo spettacolo funzionò. Anzi, alla fine riuscimmo a creare una delle storie più appassionanti e toccanti mai da noi improvvisate, nella quale si narravano le vicende di una famiglia di profughi afghani che si trovava a vivere le difficoltà dell’integrazione, ma anche i vantaggi che questa integrazione portava.
Successivamente abbiamo continuato a portare in scena Matrioska, via via perfezionandolo e ottenendo ogni volta delle storie che sarebbe valsa la pena trascrivere, tanto erano perfette.
Al di là del piacere di aver creato uno spettacolo che funzionava, Matrioska lasciò un’eredità pesante: ci eravamo formati a creare una storia solo evitando di costruirla deliberatamente. Avevamo scoperto che per fare Drammaturgia, quando si improvvisa, bisogna dimenticarsi di essa. E che quindi raccontare una storia non era una priorità dell’Improvvisazione come avevamo sempre creduto.
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Ho sempre avuto una pessima scrittura. |
lunedì 13 luglio 2020
Sì, Ma...
Avendo scritto finora del Sì,E... e delle sue declinazioni è giunto il momento di parlare della sua antitesi: il No.
Il No è l'affermazione del proprio Ego: il bambino impara presto a dire No e lo dice con un certo piacere proprio per affermare la propria individualità. Poi si cresce e quel No ripetuto assume significati più controversi.
Infatti, come scritto da Keith Johnstone, chi tendenzialmente è portato a dire Sì a una proposta riceve gratificazione dalle avventure che vive, mentre chi dice No è gratificato dal controllo che mantiene sulla situazione. Johnstone aggiunge, elemento cruciale, che con la pratica si può portare chi dice No a dire Sì.
Infatti, chiunque abbia frequentato un corso o un workshop di improvvisazione sicuramente è stato educato a trasformare i propri No in Sì per poter mandare avanti le scene.
In ogni caso questo dire No per mantenere il controllo è profondamente legato al nostro Ego, all'affermazione di noi stessi, alla paura dell'ignoto e perciò non si trasformano i No in Sì solo perché lo dice un docente.
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"La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto." H.P. Lovecraft, 1890-1937 |
Quando parliamo di fa dire Sì E... alle persone stiamo dicendo loro di accettare quello che per loro è considerato Pericolo, di addentrarsi nell'Ignoto, di avanzare verso l’Incerto, di mettersi a rischio: tutte cose contrarie a ciò che dice il loro istinto. Infatti il loro istinto è quello di proteggersi, di dire No! e ritirarsi, ma il docente dice loro di dire Sì e proseguire. A questo punto, trovandosi di fronte a due comandi tra loro contraddittori, questo conflitto tra Istinto e Docente viene risolto dagli allievi applicando una nuova euristica: quella del Sì, Ma…
"Sei carino, simpatico, intelligente, divertente, mi fai stare bene, ma con te non mi ci metto."
"Lei sarebbe ottimo per questo lavoro, ma abbiamo scelto un altro candidato."
"Verrei da te anche ora, ma ho la macchina dal meccanico."
Sì, Ma... è un No con lo smoking. Si accetta l'offerta ricevuta, ma solo alle proprie condizioni.
Non è un'accettazione piena e incondizionata: è una strategia per mantenere il controllo in una situazione incerta.
Il Sì Ma... è il compagno maggiormente presente nella vita di chi fa improvvisazione, è una sorta di Lucignolo che costantemente ci distrae e cerca di portarci al Paese Dei Balocchi, dove tutto sembra sembra facile e a portata di mano, ma che al risveglio ci riserva amare sorprese. Ci mette a nostro agio, dandoci l'illusione di stare facendo quello che viene richiesto. Invece ci porta da tutt'altra parte, impedendo di abbandonarci a ciò che si sta facendo, senza mai farci entrare pienamente nel Processo, ma facendoci restare nella Performance; nell’illusione che si possa improvvisare seguendo le regole che ci sono state date, ma senza metterci mai veramente a rischio.
Il Sì Ma... è sempre presente: a volte si nasconde, altre volte ancora sembra innocuo, ma - come l'Unico Anello - il suo potere è quello di corrompere gli ignari che ne sottovalutano la potenza.
Spesso i primi ad essere soggiogati dal Sì, Ma... sono proprio i docenti.
Da allievi è stato insegnato loro a dare la precedenza alla Performance, poi, successivamente, questo atteggiamento ha ricevuto un rinforzo, poiché essendo stati "bravi" sono diventati prima Amatori e poi Professionisti; infine si sono proposti e sono stati selezionati per insegnare.
Ma chi li ha scelti se non i loro stessi insegnanti, cioè coloro che gli hanno insegnato che l'improvvisazione è Performance?
E cosa potranno insegnare se non questo?
Ad aggravare questa situazione sta il fatto che chi gestisce e dirige le scuole di improvvisazione riceve riconoscimento e autorevolezza da altri che sposano la loro stessa visione.
Così si viene a creare una bolla di consenso su cosa sia l'Improvvisazione e su come debba essere fatta e insegnata che ha poco o niente a che vedere con l'Improvvisazione stessa. In assenza di reali confronti che possano mettere in discussione certezze e totem, il Sì Ma... prospera e suo il principale brodo di coltura sono proprio le scuole di improvvisazione, che dovrebbero invece essere i luoghi deputati a combatterlo.
Il No lo si vede e lo si può combattere a viso aperto, invece il Sì Ma... si manifesta in una miriade di atteggiamenti subdoli ed è ciò su cui un insegnante dovrebbe porre più attenzione.
Quando, specie all'apertura di un workshop, metto gli allievi in cerchio, presto molta attenzione al fatto siano disposti veramente in cerchio e non formino un'ellisse o una figura informe con bozzi e rientranze. Già la normale disposizione in cerchio tradisce i Sì, Ma... di certi allievi.
Bisogna assicurarsi che nessuno sia fuori dal cerchio: chi è fuori deve inserirsi e chi è dentro deve concedere spazio. Il nostro corpo rivela quello che pensiamo e che proviamo: l'allievo può anche sorridere, ma se non sta nel cerchio o non sta facendo entrare un compagno questo è il segnale che non è a proprio agio.
Se ad alcuni insegnanti questo può sembrare eccessivo, li invito a rivedere i criteri che utilizzano per mettere i propri allievi in sicurezza, perché temo che abbiano qualche problema.
In ogni attività umana, infatti, ci sono una Periferia e un Centro. La Periferia è dove le idee nascono, fermentano, vengono esplorate e da lì cercano di muoversi verso il Centro, dove diventano mainstream e accettate come punto di riferimento, lasciando così spazio libero in Periferia per la nascita di nuovi stimoli, poiché senza il fermento della Periferia il Centro muore. Ogni problema nasce in Periferia e riuscire a metterlo al Centro ne riduce il potenziale distruttivo, lo depotenzia.
Questo discorso vale per le città, per le arti, per i movimenti politici e anche per le classi di un corso di improvvisazione.
Chi si pone fuori dal cerchio sta manifestando l'impulso di mantenere il controllo della situazione: bisogna far sì che il Centro lo accolga e lo accetti così come lui accetterà di essere nel Centro, Se invece si sposa l'approccio Io insegno solo ai campioni, si può già supporre che chi sta fuori dal cerchio, probabilmente sarà quello che rallenterà il gruppo.
Un'azione apparentemente insignificante come disporsi in cerchio, in realtà richiede un atto di fede da parte degli allievi. Ignorare l'importanza di questo è trascuratezza verso di loro.
Ma il discorso non finisce qui.
Una volta disposti in cerchio gli allievi, già dai primi esercizi si può vedere chi sta lottando per mantenere il controllo: sono quelli che non mettono la dovuta energia in quello che fanno.
Anche questa scarsa convinzione nell’azione può essere considerata un Sì, Ma…
"Sì, faccio quello che l'insegnante mi dice, dal momento che sono qui e non posso andarmene.
Ma, visto che mi sento stupido, non mi ci impegno quanto potrei."
Il non mettere energia, come ho scritto qui, è un segnale che l'attenzione è rivolta alle proprie paure e preoccupazioni invece che a ciò che si sta facendo. Mantenere gli allievi focalizzati su quello che stanno facendo aiuta a combattere il Sì Ma...
Il discorso sul Centro e la Periferia non si esaurisce nel disporre gli allievi in cerchio.
Il Centro è anche dove succede l'azione, dove si è più esposti, la Periferia è dove ci si sente sicuri. Il Centro è dove si viene osservati, la Periferia dove si osserva.
Ancora una volta è necessario prestare attenzione ai movimenti del gruppo: sia a chi si muove verso la Periferia per mettersi al riparo, sia a chi si lancia troppo precipitosamente al centro. Anche questi ultimi potrebbero agire secondo il Sì Ma…
"Vado subito, faccio quello che devo fare in fretta e non ci penso più".
Uno strumento diagnostico per vedere quanto gli attori siano presenti in quello che stanno facendo e quanto invece stiano accettando ma alle loro condizioni è - ancora una volta - l'osservazione della loro fisicità.
Chi non è coinvolto, chi sta facendo Sì Ma... è solitamente focalizzato nel muovere le estremità del proprio corpo: mani e braccia in primis e poi i piedi; sta "raccontando", ma non è dentro l’azione.
Invece chi è pienamente coinvolto muove tutto il corpo, specialmente il bacino: sta “facendo”, è nel pieno dell'azione.
Quindi non basta che gli allievi vadano al Centro, devono anche fare e non raccontare.
Le lezioni vanno organizzate in maniera tale che ci sia il tempo affinché tutti possano fare tutti gli esercizi, senza lasciare fuori nessuno; tutti devono osservare e tutti devono essere osservati. Questo è di cruciale importanza per combattere il Sì Ma... Se si permette a chi è più fragile, più insicuro di temporeggiare in Periferia fino a quando il tempo è scaduto si sta dando un rinforzo a tale atteggiamento. E far recuperare l'esercizio durante la lezione successiva è inutile: il clima della classe così come l'energia sarà differente, ci sarà chi, avendo già fatto l'esercizio, sarà meno coinvolto nell'assistere ad una sua ripetizione, mentre chi si troverà a farlo per la prima volta si sentirà come chi sta facendo un compito "di recupero".
Infine bisogna prestare attenzione ai pattern di chi va in scena con chi. Talvolta c'è la tendenza da parte degli allievi a prediligere l'andare in scena con chi è ritenuto "più bravo" e a schivare chi è "meno bravo". Questo è un altro Sì, Ma..., nonché un segnale che questi allievi sono più preoccupati della propria Performance che del Fai fare bella figura al tuo compagno. Se si notano certi atteggiamenti la cosa migliore da fare è sorteggiare ogni volta chi fa gli esercizi: questo toglie a chi vuole andare in scena solo con i "bravi" la possibilità di farlo e allo stesso tempo solleva i meno "bravi" dall'imbarazzo dello stare al Centro da soli mentre i loro compagni in Periferia si guardano l'un l'altro o guardano per terra per decidere chi si deve "sacrificare".
Sia chiaro, non c'è quasi mai malizia negli atteggiamenti fin qui esposti: sono umani tentativi di proteggersi, ma è importante identificare questi comportamenti e affrontarli fin da subito, poiché - man mano che l'allievo prende dimestichezza con l'Improvvisazione - diventerà sempre più sofisticata la sua capacità di fare un Sì, Ma... al posto di un Sì E....
Ma di questo parlerò prossimamente.
Il minimo sindacale
Quando iniziai a scrivere qui mi ripromisi che avrei scritto soltanto se avessi avuto qualcosa di intelligente da dire e non per generare ...

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Tre ragazze sono in scena. Stanno improvvisando delle scene partendo da frammenti di copione che sono stati dati loro a inizio spettacolo....
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Avendo scritto finora del Sì,E... e delle sue declinazioni è giunto il momento di parlare della sua antitesi: il No . Il No è l'afferma...